Uno dei miei maestri di scrittura mi diede l’insegnamento
fondamentale del giornalismo una sera davanti a un Campari con bianco dalle
parti della stazione centrale a Milano, mi disse: “Di quello che non sai non
scrivere niente, non perché il giornalista debba sempre dire verità ma proprio perché
la metà di un articolo sono impressioni, bugie e stronzate colossali, e per
dire bene le stronzate uno deve conoscere bene l’argomento”.
Io di navigazione e di mare non so niente, non vado nemmeno
al mare ad agosto, figuriamoci. Sono rimasto stupito nelle ultime settimane di
quanto i grandi giornalisti siano tutti, incredibilmente e straordinariamente
esperti di mare.
Capitani di lungo, lunghissimo corso.
La notizia: una nave è affondata a largo (parola grossa
visto che la dista stanza era di 150 metri) dell’isola del Giglio, la tragedia
è avvenuta perché il capitano ha dato ordine di passare troppo vicino all’isola,
come d’altra parte fanno tutti, e lo scafo della nave è stato sfondato da uno
scoglio.
Fine del pezzo, cordoglio per i morti, qualche valutazione,
possibilmente seria sulla sicurezza della navigazione di questi giganteschi
luna park galleggianti miliardari dove
masse di turisti vanno a svuotarsi le tasche, fine della scenetta, facciamo il
processo, raccontiamo il processo, facciamo del nostro meglio perché cose di
questo tipo non riaccadano.
E invece no, invece per una settimana e oltre si è fatto il
peggior giornalismo della storia italiana, si sono ripercorsi tutti gli
stereotipi da manuale che fanno la differenza tra informazione e danza macabra.
Abbiamo cominciato con l’inevitabile conta dei morti: sono
tanti, no sono pochi (che significa tanti e pochi poi? Un morto è già troppo in
questo caso) , ma ci sono i dispersi, menomale, così il mondo resta con il
fiato sospeso (e il telecomando in mano) ancora per un po’.
Poi siamo andati all’inesorabile paragone con un’altra
tragedia che per una sfortunata cabala compie cento anni proprio nel 2012, il
naufragio del Titanic, manco a dirlo metà delle edizioni internet dei giornali
italiani riportava la notizia e il paragone fluttuava nell’aere dell’idiozia.
La palma d’oro della banalità la vince certamente l’audiocommento
di Vittorio Zucconi su Repubblica, Zucconi, che oltre ad essere il
corrispondente storico da Washington di Repubblica è anche il direttore della
famosa Radio Capital si sente di norma investito di una sacerdotale capacità di
commentare qualunque cosa dal gusto del
gelato, alle scelte di Obama, alla posizione della terra nell’universo. Qui ha
fatto del suo meglio con un commento sul mare, padre buono ma severo che
colpisce la tracotanza dei mortali e li riporta a capire che sono nati sulla
terra ferma e che un nulla può portarli alla rovina.
L’unico elemento che unisce la tragedia del Titanic a quella
del la Concordia è che ambedue erano navi parecchio grosse.
Il Titanic era una gigantesca nave da trasporto passeggeri,
un piroscafo che serviva a trasportare persone da una parte all’altra dell’atlantico
settentrionale in un periodo della storia in cui gli aerei erano ancora dei prototipi,
lo dico perché sarebbe il caso che qualcuno lo spiegasse alla truppa cammellata
di giornalisti che ha definito il Titanic come una lussuosa nave da crociera, è
vero che sul Titanic viaggiavano una incredibile quantità di personalità dell’epoca
ma solo perché era il viaggio inaugurale e perché avevano da andare in America
a fare i fatti loro, al tempo le crociere di divertimento non esistevano. il Titanic
impattò contro un iceberg in mezzo all’atlantico, non in un braccio di mare che
normalmente si fa in gommone o con le barchette da pescatori. Infine il sul
Titanic persero la vita 1523 persone di cui 800 membri dell’equipaggio.
Tra l’altro, il Titanic non si schiantò contro l’iceberg
perché il capitano era un fesso come il nostro ma perché il proprietario della
nave non fece mai arrivare in plancia i primi 3 marconigrammi che riferivano la
presenza di ghiaccio sulla rotta. Il ghiaccio si sposta, gli scogli a quello
che è dato sapere no!
Quando la tiritera del Titanic (qualcuno ha citato l’Andrea
Doria ma non ha funzionato la gente non conosceva) si è fatta moscia si sono
fatti i soliti grandi scoop all’italiana: Esclusivo, parla la figlia di
Schettino, il mio papà non è un mostro.
Prima pagina di una delle free press milanesi, la figlia ha
solo 16 anni ma non sembra ovviamente un problema.
Poi, “Schettino torna a casa, il paese lo difende” tutto il
paese? Ma proprio tutto? No solo quattro domande fatte al bar, ma per l’articolista
de “il giornale” non fa differenza.
Alla fine arriva il grande mistero italiano, la misteriosa
donna in plancia! Sarà stata lei a distrarre il comandante?
Io di navigazione ne so poco e forse pure di donne, ma non
credo che le navi oggi vengano guidate da un capitano nocchiero con il timone
in mano e il pappagallo alla spalla. Credo che ci siano diversi ufficiali a
bordo e non credo che la signorina abbia avuto il potere di distrarre tutti e
di mandare in tilt un ecoscandaglio e un sonar di profondità. Però si sa, in
Italia “u pilu” tira sempre e bisogna mettercelo.
Tanto la vita del signor Schettino è rovinata per sempre,
roviniamogli pure il matrimonio, se poi si spara un colpo o si impicca a una
trave, meglio, allunga la notizia, c’è già il titolo “Muore Schettino, il
comandate che non salì a bordo Cazzo!”.
Mi ricordo che una volta c’era un motto che descriveva l’atteggiamento
del peggior giornalismo all’italiana era: “Sbatti il mostro in prima pagina” poi accadde
che tutti vollero diventare mostri pur di finire in prima pagina e la storia si
smontò, ai tempi del delitto di Erba conobbi delle ragazzine che stazionavano davanti
alla casa dei coniugi Bazzi solo nella speranza che qualche fotografo scattando
una foto le includesse nell’inquadratura per darsi la soddisfazione di apparire
in prima.
Il mostro migliore però è quello su cui non c’è dubbio, non
il presunto colpevole, quello che poi ci si divide in innocentisti e
colpevolisti (con la terza gustosa variante umana i Brunovespisti), il
colpevole deve fungere da oggetto catartico, da capro espiatorio, perché se le
navi sono sempre passate troppo vicine alle coste, se ai passeggeri è sempre
andata bene così, se ai turisti dell’isola è sempre andata bene così, perché
hanno fatto un sacco di foto, non importa. La colpa non è del turismo di massa
che deturpa le bellezze gentili di un paese, che impedisce di godere della
bellezza dell’Italia e che rende il piacere dello stare in un luogo, un
pecoreccio loisir da turbo turismo con il cappellino scemo. La colpa è di
Schettino, solo di Schettino, essenzialmente di Schettino.
Non si vedeva l’ora di trovare un nuovo colpevole, adesso Berlusconi
non tira più. Monti è un eroe, la Fornero è un’eroina, qualunque nuovo
governante è un santo, un genio o, appunto, un eroe.
Dove diavolo sono finiti i cattivi? Quelli che ti fanno
vendere quel 10 – 15% in più?
Comandano le navi della Costa crociere – Carnival.
Ovvio che laddove c’è il cattivone c’è pure il grande eroe,
il comandante Defalco, della guardia costiera…
“Qui comando io adesso, salga a bordo cazzo”
C’hanno fatto pure le magliette, con la famosa parolaccia
italica che, un’amica a New York mi assicura essere diventata popolare pure lì
dopo che è stata riproposta in mezzo mondo.
Ora siamo al capitolo nave che scivola, modellino o
disegnino del fondale tirrenico con la nave che va a fondo nelle varie
possibilità 1) va a fondo 2) non va a fondo 3) va a fondo ma solo un pochino.
Che noia, che amarezza, che schifo. Questo è il peggio che
la nostra stampa riesce a partorire, questo è il peggio del pensiero debole di
giornalisti che sono al loro posto solo perché sono gli imbrattacarte di qualcuno
sia esso Berlusconi o De Benedetti, solo perché figli, amici, amanti di
chicchessia.
Non si è mai richiesta moralità in questa professione, la
morale è sempre dettata da un potere e serve a limitare il pensiero critico. Si
richiedono però due doti a questi servi di partito, non essere banali, scontati
e faciloni e non cercare a tutti i costi
di scendere al minimo comune denominatore (sempre Bruno Vespa).
Ai lettori (non ai telespettatori purtroppo) però dobbiamo
fare lo sforzo di chiedere di non abbassarsi, di non rincorrere la notizia per
il prurito di sapere quanti cadaveri affiorano dalle acque, quante donne
stavano a bordo e a fare che.
Qui l’Italia del giornalismo si dovrebbe vergognare, come si
può fare la morale a uno come Schettino altrimenti
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