Chiara ha 29 anni, lo scorso dicembre ha terminato il suo
tredicesimo contratto a progetto per una cooperativa sociale.
“Lavoro nel sostegno ai minori nelle scuole”
“Ti occupi di tanti ragazzini?”
“No, sono 3 anni che faccio sostegno agli stessi 3: una bimba
con problemi cognitivi, un ragazzino iperattivo che adesso fa la prima media e
un bimbo di origini pakistane che adesso è in terza elementare”
“E allora perché sei a progetto?”
“Dicono che se non dovessi più andare bene ai genitori
potrebbero cambiare assistente scolastica”
“Ma come fanno a decidere se vai bene o meno?”
“Per simpatia, non hanno molti strumenti per valutare il mio
lavoro, con la famiglia pakistana all’inizio è stato un problema, non capivano
il mio ruolo e temevano di dovermi pagare di tasca propria, per gli altri due
va bene, le famiglie mi hanno accettata, certo c’è sempre un problema”
“Quale?”
“Le famiglie si fidano più o meno di quello che dicono le
maestre, se la maestra dice che io non lavoro e consiglia di fare una lettera
al comune per mandarmi via loro mi cacciano in cinque minuti”
“E’ mai successo?”
“Due anni fa è successo a un mio collega, tutti sanno che la
maestra del bambino che curava è un’esaurita, non ce la fa più, anche le
colleghe del team lo dicono, ma è riuscita comunque a convincere i genitori e
il mio collega si è trovato senza lavoro”
Mi sono dilungato a trascrivere tutto questo scambio di
battute perché mi sembra la risposta più adatta alla posizione del signor
Monti.
Il posto fisso è noioso!
Per una volta sono d’accordo con lui.
Che bello cambiare, conoscere gente nuova, fare mestieri
sempre differenti.
Che bello sperimentare le proprie capacità.
Oggi all’università Bocconi, domani a fare il consulente per
il ministero dell’economia, dopodomani a fare il presidente del consiglio, poi
il consulente della trilaterale… e sempre, ma dico sempre pieno di soldi,
sicuro che via da una parte ti chiameranno in cento altre e a te rimarrà solo
l’imbarazzo della scelta.
È bello cambiare se sei un economista di successo, un architetto,
un professore, un… non credo che lo sia per migliaia di giovani come la ragazza
qui sopra che tra l’altro non arriva a 800 euro al mese di stipendio e lavora a
20 chilometri da casa (la benzina la mette lei) e che se il bambino è a casa da
scuola perché malato deve tornare a casa non pagata.
Stalin diceva “un morto è una tragedia un milione di morti
una statistica” le parole di Monti sono simili a queste.
La precarietà è un discorso vago, soprattutto se se ne parla
come di una materia di studio.
La precarietà, come dire la geografia.
La mia generazione è stata strangolata e uccisa dalla
precarietà, i contratti più assurdi vengono imposti a gente che ormai è quasi
costretta a mendicare il lavoro. Contratti a somministrazione, lavoro
mascherato, cottimo, contratti a progetto, co. co. co.
Nonostante questo c’è ancora qualcuno che vuole far
assurgere la precarietà a modello di vita e di lavoro.
Perché? Perché sono i primi a guadagnarci sopra palate di
soldi. Perché sono quelli che hanno inventato un sistema e lo trovano
assolutamente vantaggioso.
Il motivo di questa degenerazione, alla quale, secondo il
presidente (mai eletto da nessuno) del consiglio, dovremmo abituarci in
silenzio è molto semplice e duplice.
Da una parte mantenere altissime le remunerazioni dei
settori alti del mondo produttivo (i manager sono dei precari, certo, ma quando
se ne vanno dalle aziende indipendentemente che le abbiano fatte crescere o
portate al fallimento beccano buone uscite pari allo stipendio di una vita
degli operai), dall’altra parte fiaccare la forza di massa critica delle nuove
generazioni.
Le aziende guadagnano sulla precarietà, prima di tutto assumendo
sempre nuove forze non sono costretti a pagare avanzamenti di carriera e scatti
di anzianità, inoltre, se il piano della fornero dovesse passare pagherebbero
prezzi bassissimi allo stato in termini di contributi.
Per ciò che riguarda la massa critica il ragionamento mi porta
dalle parti del sindaco di Firenze
Gentaglia come Matteo Renzi, si può permettere di dichiarare
che i giovani non si iscrivono al sindacato perché non si sentono rappresentati
perché fa parte di quella risicata fetta di giovanotti di vaghe intenzioni
riformiste uscite fuori dalla borghesia delle grandi città italiane.
I giovani non si iscrivono al sindacato perché farlo, se sei
un contratto precario, aumenta le possibilità di licenziamento.
Ormai la minaccia non è più manco velata, te lo dicono
proprio, lo dicono ai delegati nelle fabbriche: “Guarda che abbiamo detto ai
nuovi assunti che se si iscrivono al sindacato non gli facciamo il contratto a
tempo indeterminato”.
Nelle aziende dove in cui sono riuscito a stabilizzare i
lavoratori, le iscrizioni al sindacato sono aumentate vertiginosamente, per il
semplice motivo che la paura del padrone è scomparsa.
La cosa peggiore che possa accadere a un lavoratore è
lavorare da solo.
Essere messo in un’arena dove tutti sono contro tutti e solo
i più cattivi vincono, gli altri, gli inadatti se ne vanno a casa.
Questo darwinismo produttivo, impazza nelle carriere meglio
remunerate, ma sta permeando anche nelle professioni più “basse”, ormai nelle
banche è diventata la norma per la selezione del personale, il posto è uno solo
ma si prendono tre stagisti dicendo loro che uno solo, il migliore sarà assunto
e facendo capire che è una battaglia dove l’unica regola è vincere.
Se aiuti il tuo collega in difficoltà, se pensi di fermare
questo gioco al massacro, ci sarà sempre un altro dei due che sarà pronto a
pugnalarti.
È una macchina perfetta, solo che esclude tutti coloro che
non sono capaci di giocare a questo gioco (e permette al datore di lavoro di
avere tre superlavoratori per 6 mesi pagandoli niente).
Il signor Monti è uno degli artefici di questo pensiero.
Diciamo ai giovani: “L’unica cosa che importa è la tua carriera se ce la fai
vincerai anche il resto, altrimenti sarai fottuto per sempre”
Tra l’altro non siamo tra i marines, qui chi resta indietro
viene lasciato solo, non temete.
La faccia del lavoro è cambiata negli anni, non c’è più
nessuna coscienza di classe e questo agli inizi ha fatto credere a molti della
mia generazione che fosse un bene.
Oggi cominciano ad arrivare i problemi. Oggi si comincia a
capire che la realizzazione personale non è tutto e che in un mondo di vuoto e
solitudine non abbiamo più intorno nulla.
Qui non si è precarizzato il lavoro, con la precarizzazione
del lavoro si sono precarizzte le vite, gli affetti le esistenze.
Qualche anno fa un amico mi disse che vivere oggi era come
stare in una bolla, dove esiste solo la propria persona e incidentalmente gli
altri.
Forse il signor Monti vuole portare la precarietà a status
sociale.
Farà i conti con migliaia di persone che ormai non ce la
fanno più, che non vogliono essere merce di scambio al pari dei beni che
producono.
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