Negli anni settanta si diceva che il movimento aveva il
compito di “dare l’assalto al cielo”
La sensazione che ho avuto ieri sera davanti alla torre
Galfa, a Milano, è che qualcuno il cielo lo avesse davvero assaltato e ce
l’avesse fatta.
La vicenda di Macao mi mette, come sempre, di fronte alle
contraddizioni politiche di cui Milano è piena e che nessuna giunta sia essa di
destra o di sinistra riesce a lenire.
Perché alla fine nella nostra città la politica è serva di
un sistema economico che ha il suo fulcro nei grandi costruttori, palazzinari
senza scrupoli a cui altro non interessa se non la quantità di calcestruzzo da
buttare sui quartieri.
un momento dell'assemblea di ieri alle 18.00 |
È successo per la fiera, è successo per una quantità di
piccoli e grandi spazi.
Una città è fatta di gente che abita luoghi, se cambiano i
luoghi cambia anche la gente.
Se cambiano gli orizzonti cambiano anche i sogni dei
cittadini.
L’orizzonte di Milano negli anni 50 era un orizzonte
industriale, ma ha prodotto una generazione che uscendo dalle fabbriche ha cambiato il volto del paese, in
bene e in male.
L’orizzonte di Milano oggi cos’è?
Un orizzonte di moda e modelle? Un orizzonte di locali alla
moda che chiudono dopo sei mesi?
Un orizzonte di precariato dove anche se ti ammazzi per
vivere sarai sempre sotto la soglia della povertà se non hai mamma e papà che
ti foraggiano?
Ieri mentre me ne tornavo a casa pensavo alla proposta di
Boeri e Pisapia, spostiamo Macao all’ex Ansaldo.
Una proposta politica, una proposta che Macao non ha
accettato, anche perché come diceva ieri qualcuno all’assemblea pubblica, non
si occupa un luogo per ottenere un altro luogo, altrimenti sarebbe un fatto di
arroganza.
Anche l’affermazione secondo cui il bando per l’Ansaldo
sarebbe in qualche modo pilotato per favorire Macao non è una frase che vorrei
sentire da una giunta votata per segnare discontinuità con la destra che di
queste cose è stata sempre maestra.
Qui il problema non è l’occupazione, qui il problema è
squisitamente politico, qui dobbiamo chiederci una volta per tutte che razza di
città vogliamo.
Vogliamo segnare un tratto di discontinuità con la destra o
vogliamo lasciare Milano com’era per la gioia dei Ligresti, degli Zunino e dei
Cabassi?
La città deve tornare a vivere, deve tornare a riconoscere
le energie positive che la percorrono, energie che certamente non stanno nei locali
e nei negozi del centro.
Macao è un segno di rivolta in positivo, è il segno che si
può fare moltissimo, senza paura per la nostra città, per l’arte per la
creatività.
È il segno che non basta sbarrare un grattacielo per dire
che il problema degli spazi per l’arte e la creatività, per l’aggregazione e la
proposta sociale è risolto.
Non basta un bando di gara!
La città creata dalla destra era una città tetra, spaventata
ad arte dai politici, una città blindata dove non si respirava più.
La Milano che abbiamo voluto costruire con Pisapia doveva e
deve essere una città diversa, altrimenti non vale la pena.
Macao non deve mollare, ma nemmeno noi dobbiamo smettere di
essere a fianco alle lotte.
Non ci sono alternative.
Per amore della nostra città e dei nostri sogni.
bella analisi, ma se non ansaldo cosa? io non ho capito se stanno ancora prendendo decisioni lì in piazza o se hanno già deciso qualcosa, se non altro di continuare a oltranza di star lì.
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