Sono un po’ lontano dal web negli ultimi tempi. Una volta lessi un frase di Garcia Lorca che mi colpì, l’ho cercata parecchio nella mia biblioteca ma non riesco a ritrovarla, quindi sicuramente la citerò male ma il senso è quello: “Ci sono momenti in cui il poeta deve lasciare la penna per il fucile, non dovendo dimenticare che il suo amore è lo stesso” Io non ho abbandonato la tastiera del computer per il fucile ma per le elezioni. Il giornalismo si fa anche facendo altro. Per comprendere una città come Milano spesso è necessario calarsi nel suo corpo vivo incontrare la gente. Vedere come si muovono i capi dei movimenti e dei partiti è meno importante di capire come la gente misura le proprie priorità di fronte a quello che gli accade. Durante il Biennio Rosso, quel periodo di lotte tremende che và dal 1919 al 1920, i giornali socialisti chiudevano durante le occupazioni e gli scioperi perché i giornalisti (tra cui Gramsci, Bordiga, Terracini, Fortichiari,…) sentivano l’obbligo morale e civile di aiutare gli operai di cui scrivevano.
Oggi questi obblighi morali non li sente più nessuno, sporcarsi le mani quando si è arrivati in un posto di potere è troppo, ma non mi pare che le cose vadano meglio. Nelle ultime settimane ho incontrato persone davvero singolari e magnifiche, alcune davvero indimenticabili, di quelle che faranno parte della mia vita molto a lungo, anche se le ho viste una volta sola, e questo in barba a chi dice che fare politica è uno sporco gioco di ricchi e potenti e che nessuno è buono. Ho incontrato molti giovani che ci credono, che vogliono cambiare le cose, che vogliono lottare per i loro amici e compagni. Silvia, che lavora nei nidi appaltati di cui spesso ho parlato in questo spazio, che prende 700 euro al mese, che fa tre lavori per vivere, e che si è candidata perché “Non è giusto che la gente sia trattata in questo modo, e non dico solo le lavoratrici ma anche le famiglie i genitori che credono di affidare i figli ad un posto sicuro e non sanno che non ci danno nemmeno i guanti di lattice per pulire i bambini, e non sanno nemmeno che in certi nidi le ausiliarie si devono portare i detersivi da casa” Luca, che vive in zona 1 a Milano, il centro, quello dove fino a 20 anni fa c’erano anche le case degli operai tra porta ticinese e parco delle basiliche, tra Piazza Vetra e il Naviglio, il centro che adesso sembra diventato un grande parco giochi a solo uso e consumo delle migliaia di turisti russi e giapponesi che vengono a svuotarsi le tasche e che dopo una cert’ora diventa un luogo spettrale dove hanno chiuso tutti e girano solo le volanti della polizia, a difesa di non si sa chi. “Bisogna cambiare le cose, bisogna chiedere spazi dedicati alla cultura all’arte al fare…” E così ieri sera un piccolo aperitivo diventa la scusa per provarci sul serio. Ci prendiamo (in prestito e senza sporcare) il chiostro dell’anfiteatro di via De Amicis, e in questa location surreale, nel pieno centro di Milano, nascosta agli occhi di tutti, mettiamo insieme teatro e musica, la rabbia degli studenti delle scuole superiori e la forza degli amici del CSA Cantiere, la voglia di lottare di Silvia di Carmen di Luca degli amici della Federazione Della Sinistra, le lavoratrici dei Nidi, gli amici che vengono da lontano. Facciamo solo musica e teatro, facciamo solo discussione. Cerchiamo solo di cambiare la testa a Milano… e via via succede quello che qui non ti aspetti: succede che la gente che è andata ad ascoltare Pisapia qualche strada più in là entra a cantare un pezzo con noi, succede che le anziane signore del “Circolo del bridge Milano” si fermino a bere un bicchiere di vino e ci raccontino di come la Moratti non la voteranno mai più, “Perché è una che parla parla e che le mani non le fa andare mai” (… e questo nella filosofia meneghina è davvero un peccato capitale). Ecco il senso di mollare la penna per il fucile: negli anni Milano è diventata una città arida e triste, e tutti credono invariabilmente che sia così perché a Milano la gente si sia inaridita e intristata, ma questa è la favola dei morattiani e delle giunte di destra, che con la scusa della Milano vuota e triste sventrano quartieri per fare palazzoni, sbattono i poveracci (che poi nella loro filosofia sono quelli che non guadagnano 3500 euro al mese) dal centro alla periferia più estrema, levano servizi e chiudono i centri aggregativi. Ma come in quelle storie dell’orrore dove pare che dietro ai muri ci siano solo mostri, in realtà dietro ai nostri muri di paure c’è solo la forza dei compagni.
10 aprile 1991, il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo entrano in collisione appena fori dal porto di Livorno per cause ancora poco chiare. Muoiono durante l’incendio che ne segue il numero impressionante di 140 persone. Le indagini sono difficili, soprattutto per la moltitudine di fattori ed eventi che emergono sin dalle prime ricostruzioni. I soccorsi sono lenti, inizialmente il capitano dell’Agip Abruzzi dice di aver urtato una “bettola”, una piccola nave di servizio e chiede di concentrare sulla petroliera i soccorsi, dice le parole testuali: “non confondete loro con noi”. Anche se danneggiato e ormai in balia delle fiamme il relitto del traghetto riesce a distanziarsi di alcuni metri dal punto dell’impatto e questo rende ancora più difficile l’operazione di soccorso. Le piste che vengono seguite sono molteplici, spunta una pista americana, molte navi americane sono presenti in rada e non è mai stato chiarito se il loro traffico possa in qualche modo aver danneggiato le rotte delle due navi. Il processo è lunghissimo, i familiari delle 140 vittime si costituisono in associazione, ma la verità non è mai davvero stata chiarita e le responsabilità sono ancora tutte da accertare. QUESTO PROCESSO POTREBBE ESSERE PER SEMPRE CHIUSO GRAZIE ALLA NORMA CRIMINALE CHE LA DESTRA STA VARANDO IN ITALIA.
Notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007. Una normale notte di turno alle acciaierie ThyssenKrupp di Torino, non è un bel periodo, e gli operai lo sanno. I vertici aziendali vogliono chiudere l’impianto e portare l’intera produzione a Terni. Si lavora comunque, ma qualcosa va storto si propaga un incendio sulla linea 5 Laminati. Vengono gravemente feriti 7 operai. Le indagini scoprono ciò che nessuno vorrebbe scoprire: in previsione della chiusura i vertici dell’azienda non avevano più tenuto in alcuna considerazione le norme di sicurezza. L’intero impianto era una polveriera pronta a saltare, e già in precedenza c’erano stati degli incidenti che avevano mosso i sindacati. Si scopre che nemmeno gli estintori erano stati caricati. I 7 operai non sono morti per una fatalità: sono stati ammazzati. Parte il processo che vede imputati per strage dolosa tutti i responsabili dell’azienda perché non solo erano a conoscenza del pericolo ma non hanno fatto nulla per prevenire una catastrofe annunciata. Torino in quei giorni sembra un sacrario, ci vado per raccogliere delle storie, la città è sgomenta, ne parla la gente al mercato, ne parlano al bar le persone qualunque, ne parlano gli immigrati africani. Torino è Thyssen, Thyssen è Torino. I vertici aziendali però non sono disposti ad ammettere le proprie responsabilità, parte il processo che è lungo e difficile, come sempre accade quando si parla di morti sul lavoro, di assassini bianchi. QUESTO PROCESSO POTREBBE ESSERE PER SEMPRE CHIUSO GRAZIE ALLA NORMA CRIMINALE CHE LA DESTRA STA VARANDO IN ITALIA.
6 aprile 2009 ore 3.32 del mattino. Una scossa di magnitudo 5,9 della scala Richter fa tremare la provincia dell’Aquila, epicentro tra i comuni di Roio Colle, Genzano e Collefracido, la città più colpita è l’Aquila. Bilancio definitivo 308 morti. A seguito del sisma la procura della Repubblica dell’Aquila apre diverse inchieste, le più importanti sono quelle sul sistema protezione civile e sulla sottovalutazione dell’evento sismico nei giorni precedenti al sisma, nonostante questo fosse stato preceduto da un intenso sciame di scosse a causa delle altre faccende in cui la protezione civile era impegnata, primo fra tutti il G8 calendarizzato per il mese di luglio nell’isola sarda della Maddalena. Importanti anche le indagini sul crollo della casa dello studente e dell’ospedale dell’Aquila che vede molti progettisti e ingegneri citati in giudizio, le due costruzioni, infatti, non sono antiche abitazioni medievali bensì moderni palazzi costruiti in zona sismica che non avrebbero dovuto cadere come castelli di carta. Soprattutto gli studenti che risiedevano nella casa dello studente avevano più di una volta denunciato lo stato pessimo di condizioni dei pilastri ma nessuno aveva provveduto. QUESTI PROCESSI POTREBBE ESSERE PER SEMPRE CHIUSO GRAZIE ALLA NORMA CRIMINALE CHE LA DESTRA STA VARANDO IN ITALIA. 29 giugno 2009, ore 23.48 il treno merci 50325 Trecate-Gricignano, con il suo convoglio di quattordici carri cisterna contenenti GPL, deraglia per cause probabilmente legate al cedimento del carrello del primo carro cisterna, che trascina fuori dai binari altri quattro carri. Solo dal primo carro, la cui cisterna viene perforata da un picchetto di segnalazione posizionato lungo la massicciata, fuoriesce il gas GPL che al contatto con l'ossigeno e alla prima possibilità d'innesco si è incendiato. Muoiono sul colpo 11 persone per le fiamme o per il crollo degli edifici, altre due muoiono per infarto. Ma l’incendio miete altre vittime, alla fine Viareggio ne piange 33. L’inchiesta è difficile, sin da subito si comprende che le responsabilità oggettive e soggettive sono molteplici, i dubbi moltissimi: il convoglio era appena stato revisionato, come può aver ceduto una cisterna? I picchetti segnaletici erano stati lasciati lì per errore o erano utili e comunque che tipo di responsabilità hanno le ferrovie italiane con le loro molteplici sigle? Perizie, controperizie, lunghi tempi tecnici, costituzione dei familiari delle vittime come parte civile… passa il tempo. QUESTO PROCESSO POTREBBE ESSERE PER SEMPRE CHIUSO GRAZIE ALLA NORMA CRIMINALE CHE LA DESTRA STA VARANDO IN ITALIA.
Ieri nella sua colpevole stupidità Angelino Alfano ha sostenuto, mentendo in aula, che la legge interessa solo lo 0,2 per cento dei processi in atto. Vorrei dire al signor Alfano dalla mia umile posizione di cronista, che questa infamia fatta per salvare un uomo ormai degno solo di un TSO, interessa soprattutto l’Italia. Ci sono città ferite, e l’elenco sopra è solo esemplificativo, ci sono persone che rivivono il dramma delle loro perdite giorno per giorno e ora per ora. Ricordo di aver parlato con un operaio della Thyessen l’anno dopo il disastro e mi disse che ogni volta che pensava che aveva scampato la morte per un soffio, solo perché aveva finito il turno poche ore prima dell’incendio non stava meglio, lui una famiglia non ce l’aveva e forse era più giusto che fosse morto lui piuttosto che Roberto Scola che aveva due figli piccoli o Antonio Schiavone che di figli ne aveva tre e il più piccolo di appena due mesi.
Un giorno, non nell’aldilà nel quale personalmente non credo, questa feccia mascherata da rappresentanti di uno stato dovrà pagare tutte le vigliaccate e le porcherie che si è ingoiata per salvare il proprio Padrone, e soprattutto per questa.
Noi italiani dovremmo chiedere scusa, scusa per questo orrore perché anche noi siamo colpevoli. Colpevoli di non aver capito, di non aver avuto voglia di informarci e quindi di continuare a dare loro fiducia. Ma soprattutto loro dovranno vergognarsi di aver impedito di fare giustizia per la morte di tutte le persone che elenco qui sotto Anche se l’elenco è incompleto perché non sono riuscito a recuperare tutti i nomi degli aquilani morti e quindi per rispetto non ne scrivo nessuno.
PER FUTURA MEMORIA.
Deceduti nel rogo della nave Moby Prince – Agip Abruzzo
Abbattista Giovanni 45 Allegrini Stefano 23 Alves Sandrine 24 Amato Natale 52 Ambrosio Francesco 22 Ambrosio Vittorio 30 Andreazzoli Marco 28 Averta Rocco 36 Avolio Antonio 45 Baffa Nicodemo 52 Baldauf Gernard 27 Barbaro Luciano 24 Barsuglia Luca 24 Bartolozzi Umberto 48 Belintende Sergio 31 Bianco Gavino 40 Bisbocci Alberto 20 Bommarito Giuseppe 43 Botturi Adriana 60 Brandano Raimondo 60 Campo Antonino 26 Campus Giovanni B. 53 Campus Gianfranco 21 Canu Angelo 28 Canu Sara 5 Canu Ilenia 1 Caprari Alessia 19 Cassano Antonello 25 Castorini Rosario 39 Cervini Domenico 21
Cesari Diego 14 Chessa Ugo 54 Cinapro Graziano 45 Cirillo Ciro 25 Ciriotti Tiziana 22 Congiu Giuseppe 23 Crupi Francesco 34 Dal Tezzon Antonietta 47 Dal Zotto Pasquale 32 D'Antonio Giovanni 22 De Barba Mauro 30 De Caritat Beatrice 31 Defendenti Anna 24 Degennaro Giuseppe 29 De Montis Angelita 23 De Pretto Tatiana 18 Esposito Francesco 43 Falanga Nicola 19 Farnesi Cristina 22 Ferraro Sabrina 20 Ferrini Carlo 32 Filigheddu Maria 40 Filippeddu Giovanni 46 Fondacaro Mario 57 Formica Maria G. 51 Fratini Bruno 34 Frulio Ciro 18 Fumagalli Alfredo 23 Furcas Daniele 33 Fusinato Angelo 58
Gabelli Antonino 72 Gasparini Giuseppe 62 Ghezzani Maria G. 57 Giacomelli Piera 55 Giampedroni Lido 29 Gianoli Giorgio 29 Giardini Priscilla 23 Giglio Alessandra 26 Gnerre Erminio 29 Granatelli Giuseppina 27 Guida Gerardo 23 Guizzo Gino 52 Ilari Salvatore 31 La Vespa Gaspare 31 Lazzarini Giuseppe 32 Lazzarini Romana 22 Lipparelli Raffaela 50 Manca Giuseppe 48 Marcon Maria 83 Martignago Giuseppina 46 Massa Angelo 30 Mazzitelli Francesco 56 Mela Maria 44 Minutti Giovanni V. 50 Molaro Gabriele 35 Mori Aldo 52 Mura Paolo 34 Padovan Giovanna 54 Padula Aniella 44 Pagnini Vladimiro 59