mercoledì 29 giugno 2011

MANGANELLATI E SPREMUTI... dalla Val Susa alla finanziaria



C’è un’aria strana che si respira dalle parti di Montecitorio.
È la stessa aria che si sente quando si entra nelle camere ardenti dei grandi ospedali.
Tutti a vegliare il morto, tutti a dire che non sembra morto che: “sembra che dorma”, che “sono sempre i migliori che se ne vanno” che comunque “la vita va avanti”
L’unica differenza tra le camere ardenti e i palazzi del potere è che tutti coloro che sono nelle prime sanno di fare parte di una grande messa in scena, l’ultima e che poi si procederà alla sepoltura, Berlusconi e i suoi scagnozzi non hanno ancora capito appieno di essere loro i morti e che sarebbe il caso di smettere di respirare e levarsi dalle scatole per sempre.

Ci sono due notizie che sui giornali non sono accoppiate ma che se analizzate bene danno il senso di questa stupida rincorsa alla sopravvivenza che il Piccolo leader di Arcore e i suoi leccapiedi stanno inscenando da giorni.
Una è la militarizzazione della Val di Susa, l’altra è il varo della super Manovra economica del Divino Giulietto (c’era un solo divo Giulio scusate) Tremonti.

“Espugnare” una valle manu militari è talmente facile che viene da ridere a sentire alcuni commenti entusiastici sui giornali di destra, dove si parla di guerriglia e di “lotta per riprendere la valle”.
Io in Valsusa ci sono stato e non mi è sembrato di vedere le barricate con i sanculotti in armi a difendere la città ma che si vuol fare… si vede che non ci vedo bene.
D’altra parte vorrei proprio vedere se l’esercito italiano non riuscisse ad avere ragione di un manipolo, per quanto agguerrito, di pacifisti autoctoni.

Più carino è varare una bella manovra economica da 47 miliardi di euro che però peserà per 7 miliardi nel biennio in corso e per 40 per il biennio 2013-2014.
Quando l’ho letta la prima volta ho pensato che Tremonti volesse fregare la UE in senso millenaristico, alla fine lo sappiamo tutti che il mondo finirà il 21 dicembre del 2012, no?
Subito dopo ho smesso di ridere. È molto chiaro che qui si vuole portare l’Italia alla paralisi stile greco ma si vuole addossare la colpa alla sinistra che quando (e non se) vincerà dovrà governare una manovra da vampiri già approvata dalla BCE e dal fondo monetario.
Inoltre stiamo parlando di un vero salto nel buio, perché se la Grecia va al default e si porta dietro altre economie, alcune delle quali come quella francese molto solide, ci sarà la necessità di ritoccare al rialzo qualunque tipo di manovra e lì il problema si moltiplicherà all’infinito.

Perché le due cose sono collegate?
Semplice, perché sono lo specchio di come questo governo pensa al futuro di un paese e alla sua gente.



Da anni sappiamo chiaramente che la TAV non serve a niente, se non a soddisfare gli appetiti dei soliti megacostruttori (Impregilo in testa). Da anni gli studi di settore indipendenti mostrano come la linea Torino – Lione già esistente viene utilizzata solo per il 40% della sua potenzialità, questo perché il trasporto su Gomma in Italia è di gran lunga il più utilizzato e non si è mai riuscito a invertire la tendenza.
Le proiezioni più ottimistiche dicono che, se realizzata la TAV, sarà sfruttata per il 30 per centro del suo potenziale… sarebbe molto più economico e a minor impatto ambientale mettere apposto quello che c’è già piuttosto fare progetti inutili.
Naturalmente il governo la vede in un altro modo: “io so io e voi nun sete un cazzo” tanto per dirla facile.
Esistono dei sistemi economici molto complessi che solo io che sono il Grande Capo per grazia di Dio al governo del paese e i miei discepoli possiamo conoscere, il popolo deve tacere e pagare, se poi per caso vuole dire qualcosa abbiamo un ottimo esercito pagato per spaccare teste e abbattere cancelli con le ruspe.

La manovra economica è l’altra faccia della stessa medaglia, sappiamo che stiamo vampirizzando un corpo così anemico che ormai non si regge più in piedi ma chi se ne frega.
L’immobilismo che da anni fa sì che il “governo del fare”, altro non faccia che pensare agli affari propri, dove per affari propri si intende: Decreti vari salvapremier, decreto sulle intercettazioni, legge bavaglio, blocco delle leggi sul conflitto di interesse, inutili leggi sul federalismo che, anche loro, diventeranno attuative se tutto va bene nel 2015, regali alla Lega come il pacchetto sicurezza e le varie leggi contro gli immigrati che hanno oltretutto dissanguato le casse del ministero degli interni di uno stato che dal 1985 a oggi aveva visto crollare il numero di reati sempre più verso lo zero.
Tutto questo non fare, non decidere e non interessarsi, tutto questo dare la colpa agli altri (che siano gli immigrati, i comunisti, la crisi americana o i marziani) tutto questo tirare a campare ha fatto sì che la situazione diventasse una bomba pronta a scoppiare, ma che il governo non abbia alcuna intenzione di ammetterlo.
Quindi bisogna fare nell’unico modo che conoscono, prendersela con la gente, questa volta non con i manganelli ma con le tasse e i tagli, dalla manovra economica si evince che dal 2012 sarà privatizzata pure la Croce Rossa e che tutto il personale ivi inserito non militare potrebbe essere posto in mobilità.
Prima o poi doveva succedere, a forza di non fare nulla, la situazione ti cade addosso come un muro di pietra e qualcuno deve pur raddrizzare una situazione del genere… chi? Noi, gli stessi che se non vogliono che un treno inutile distrugga la loro valle prendono bastonate, gli stessi che se non vogliono che si costruiscano basi militari americane nel loro territorio, prendono comunque bastonate. Gli stessi che non sanno più come cavolo fare con l’immondizia e sentono un governo che dice chiaramente: andate a farvi fottere!

Gli stessi che prima vengono pestati e poi spremuti in questo revival fine ottocento che ormai ci ha stancati e che vogliamo definitivamente cancellare.

domenica 19 giugno 2011

IL DECLINO DEFINITIVO... riflettendo sulla lega a Pontida



“Secessione, secessione” Urla il popolo Verde
“Ci son cose… se il federalismo fiscale, i numeri però… Padaniaaaaa!” Risponde un Bossi impacciato, tirato come una coperta logora tra il suo popolo e i ricatti berlusconiani.
Il popolo risponde, ammaestrato: “Libera!!!”

Un po’ di pena me la fa provare, la visione di un leader stanco che segue il declino di un’idea…
Non pensavo che lo avrei mai scritto, ma la visione dei video di Pontida (oggi volevo andare sul pratone dei leghisti a fare il mio lavoro ma altri impegni mi hanno impedito di muovermi da Milano), con la loro stanca retorica, con le canzonacce da osteria contro il Duetto d’Arcore, le facce stanche, sempre le stesse, mi fanno provare un po’ di pena.

Le idee sono schiave della politica, la politica è serva del potere.
Me lo spiegò una volta un vecchio Pietro Ingrao a Roma.

Il caso della Lega Nord è più esemplare di quello di qualunque idea…
Ricordo quando nacque la Lega, ero un ragazzino e i proseliti erano quelli del popolo dei bar, la retorica del Terùn, che si sdoganava una volta per tutte.
Per i Lombardi “pane e salame”, le idee che Umberto Bossi e il suo ideologo Gianfranco Miglio, spacciavano per politica, ce le avevano in testa da sempre, erano le idee dei piccoli paeselli del varesotto o dell’alto milanese, quelle dettate dall’ignoranza, quelle che volevano ancora vedere il meridionale come un troglodita che non sapeva né leggere né scrivere… Bossi gli dava la voce, gli dava la possibilità di pensare che ci fosse un fondamento nel loro povero razzismo, nel pensare che la Lombardia (prima) e il nord (poi) fossero un’altra cosa.
Negli anni ’80 i primi a correre alla casa della Lega furono quei nordici che fino a qualche tempo prima erano visti poco meno e poco peggio dei meridionali: i valligiani dell’estremo nord, gente che aveva fatto si e no la terza media o che si era guadagnata un diploma tra mille difficoltà e che quando scendeva a Milano o si spostava in Svizzera era vita alla stregua di un povero ottentotto, oppure i veneti chiamati storicamente i Terroni del Nord, definiti nelle barzellette come dei trogloditi incestuosi.
Questi per la prima volta avevano un motivo di riscatto. La loro identità era usata come un martello contro altri “popoli”, dio solo poteva sapere quali.
Negli anni novanta e poi nel duemila tutti erano accomunati dal sentimento razzista contro gli invasori africani, quei neri che venivano a sradicare le nostre vere o presunte radici cristiane… quelli che volevano imporci l’Islam e la Sharia (la legge islamica) come stile di vita.

Oggi tutto è avvolto nella nebbia, il nemico non si sa più chi è.
Sarà la sinistra? Sarà Berlusconi con i suoi eccessi e le sue promesse mai mantenute?

Il grido “secessione secessione” non è una richiesta, è un mantra rassicurante!
È un Kirye Eleison…
Fateci vedere che ci siamo ancora… che esiste ancora uno spirito puro a cui attaccarci.
In questo rivedo le masse comuniste dopo l’89.
Mentre tutti si chiedevano “ Che e sarà di noi?” i leader del partito, da Occhetto a Napoliotano, si lambiccavano in formule astruse, Progressismo, socialdemocrazia… e la gente si allontanava si estraniava. Passava da popolo comunista a elettori passivi, pronti a scusare qualunque mediocrità.

Non è bello neppure se si parla della Lega… è un riflusso delle idee… un triste tornare a qualcosa purché sia credibile.

Pensavo, e lo dico sinceramente, di vedere oggi qualcosa di definitivo a Pontida, una rottura o un rinsaldare le reghe a difesa di non so cosa e di non so che… non ho visto nulla, solo tremenda crisi di valori.
Ho provato a parlare con i leghisti nelle ultime settimane ma non ci ho cavato un ragno dal buco, solo retorica e astio.

Bossi e i suoi lo sanno ma ormai non sanno come rispondere, questo è chiaro.
La politica ha delle regole…una volta che sei in sella non si può scendere senza perdere tutto. Allora tanto vale andare avanti fino alla distruzione totale.

Non fatevi illusioni… la lega sopravviverà anche stavolta, non mollerà, cercherà di infilarsi in altri meandri sempre più neonazisti ma ormai ha perso le ali, lo sa Bossi lo sanno i vecchi leader, lo sa il popoli, ma ormai indietro non si torna più… per scendere dalle montagne dei palazzi romani ci vuole coraggio e fiato che questo movimento non ha più.

sabato 18 giugno 2011

QUESTIONE DI RATING... chi vuole farci diventare come la Grecia


Ci sono alcune notizie che non colpiscono l’occhio del lettore immediatamente.
C’è una classifica più o meno definita che standardizza quale tipo di notizia attirerà immediatamente l’attenzione e farà s’ che il compratore di quotidiani vada subito nelle pagine interne a vedere come va a finire.
La cronaca nera, poi gli scandali di vario tipo (in Italia leggi Berlusconi), sono in cima a questa classifica.
Certamente la notizia che Moody’s abbia in animo di abbassare il rating dell’Italia da Aa2 a Aa3 non è tra le notizie che fanno sì che un qualunque lettore medio si fiondi nelle pagine di economia per vedere chi è l’assassino.
E invece sarebbe il caso di farlo.
L’economia non è una scienza, l’economia, soprattutto nei sistemi macroeconomici è un gigantesco gioco di ruolo, solo che al posto di maghi e stregoni, morti viventi e vampiri ci sono banche, agenzie di rating, credit default swaps, edge found, debiti sovrani e via discorrendo.
Se vinci il gioco di ruolo non se ne accorge nessuno e la vita dei cittadini continua ad andare di male in peggio come è accaduto negli ultimi anni in Europa e nel Mondo ma se per caso (è proprio il caso di dirlo) perdi, allora sei davvero fregato.
Uno spettro si aggira per l’Europa, si chiama Fallimento.
Analizziamolo per i non esperti in un’ottica che molti economisti riterrebbero comunista, e infatti lo è.
Prima di tutto sarà necessario fare dei chiarimenti che non si fanno mai quando si parla di cose del genere al telegiornale.
Numero 1: Moody’s, Standard and Poor’s (S&P) e la meno conosciuta Fitch, non sono come sembra credere qualcuno (o voler far credere) enti governativi o società di consulenza e studio. Sono banche di investimento che per tutta una serie di motivi hanno il diritto di pubblicare le loro valutazioni su uno stato. La valutazione di rating indica il premio di rischio da chiedere all’azienda quando investe su un dato pacchetto azionario privato. Essendo però anche le tre agenzie degli investitori queste hanno tutto l’interesse a manipolare il mercato a loro piacimento apprezzando o declassando un’impresa.
Numero 2: Il giudizio di S&P, Moody’s e Fitch non ha nulla a che vedere con lo stato di salute democratico di un paese. Secondo i loro dati di valutazione un paese dove vigesse la schiavitù sarebbe sicuramente più affidabile di un paese democratico, anche solo per il fatto che il costo della democrazia per certi aspetti è una perdita e non un guadagno, il caso portoghese, dove si vuole eliminare la sanità pubblica ed egualitaria è salutato dalle agenzie di rating come la soluzione per uscire dai problemi del Portogallo… vallo a spiegare a un dializzato.
Numero 3: uno stato non è una SpA, sembra incredibilmente sovversivo dirlo, ma è così, porco cane!

Fatte le premesse passiamo alla storia.
Il problema del rating abbassato per l’Italia passa dal fatto che la vittoria referendaria ha creato alle banche di investimento qualche piccolo problema.
Le valutazioni degli istituti si basano su semplici modelli matematici che, essendo matematici, hanno poca attinenza con la realtà dei fatti.
Per ciò che riguarda il referendum in Italia, i cari analisti americani hanno fatto circa questa equazione (qualche mese prima dell’infilata di maggio giugno): Berlusconi arriva da una serie vincente di 3 anni (politiche – europee – regionali) e il suo consenso non si può erodere più di tanto soprattutto nelle sue roccaforti (Milano), in più sono vent’anni che nessun referendum raggiunge il quorum e questo fa supporre che gli italiani non siano più interessati a questo tipo di consultazione, aggiungiamo il fatto che i referendum sono stati piazzati a quindici giorni dai ballottaggi amministrativi, nel primo week end di giugno utile per il mare e la gente si stufa ad andare a votare di continuo.
Risultato: presumibilmente l’Italia si sveglierà con le centrali nucleari, con l’acqua privatizzata e con un presidente del consiglio che potrà fare il cazzo che gli pare senza che nessuno possa fermare la sua macchina in corsa.
Ciò significa in termini macroeconomici: care aziende di mezzo mondo il self service è aperto andate a servirvi, il popolo bue non se ne accorgerà mai.
Non è andata così. E se io fossi, per esempio un’azienda francese che arricchisce uranio per le centrali nucleari di “nuova” generazione, che si è comprata un bel pacchetto di azioni Enel per andare sul sicuro, certa dell’affare, sarei davvero incazzato.
Sarei incazzato pure se fossi un investitore a cui un governo di ladri e mafiosi abbia promesso 5 anni di relativa capacità di manovra senza problemi e mi trovassi con un governo ricattato da una massa di trogloditi verdevestiti che domani faranno “uhga uhga” sul pratone di Pontida e potrebbero decretare la mia morte.
In fine sarei incazzato se fossi un ipotetico costruttore (facciamo finta che mi chiami Cabassi tanto per inventare un nome) e facciamo finta che abbia comprato terreni agricoli d’accordo con un ipotetico sindaco (facciamo finta di Milano) per rivenderli come edificabili per un evento (diciamo per esempio Expo 2015) e poi arriva un sindaco che si dice post comunista (per dire un nome a caso Pisapia), ma sappiamo che quelli lì perdono il pelo ma non il vizio, e comincia a parlare di esproprio, visto che per i piccoli proprietari è stato fatto. Ma io volevo guadagnarci miliardi, poi tanto l’Expo non lo voleva fare mica sul serio la Moratti.

Ecco tutti questi economisti da rapina, gente che si è fatta una fortuna sulle spalle della popolazione è piuttosto incazzata con S&P e compagni. Le cose non dovevano andare così, in Italia doveva funzionare come sempre, col dittatore al suo posto e lo stato da spremere ancora per tre o quattro anni e poi buttare tutto via come si è fatto con la Grecia e come si vuol fare con l’Irlanda.
Come rispondono quindi le agenzie di rating, abbassando il punteggio, trovando pure delle giustificazioni economiche sulla lenta crescita del paese, ma sappiamo che è dagli anni ’90 che l’Italia cresce a velocità ridotta rispetto agli altri paesi forti dell’eurozona.



Questi grandi economisti prosperano su economie che tutto hanno fuorché il dato di realtà.
Questa finanza non è altro che una truffa legalizzata, qui si sostiene senza mezzi termini che esistono si e no 1000 persone in ogni paese che decidono quello che è giusto e sbagliato e tutti gli altri devono soggiacere.

La Grecia è un caso limite. Qui la gente si è svegliata in ritardo, solo quando ha capito che ormai era fatta. Il caso greco dovrebbe fare temere ciascuno di noi per la sua drammaticità.
Pensate per un solo attimo a che significhi avere uno stipendio di 1200 euro che il giorno dopo diventa di 700 solo perché il tuo governo ha deciso di fare lo spericolato per poter apprezzarsi nei conti farlocchi del gioco di ruolo dell’economia producendo debito e vendendolo al miglior offerente finché non è scoppiato il pallone.
La frase usata dai governanti greci: “aggiustamento nei contratti nazionali” è semplicemente un sinonimo di Licenziamento di tutti i contratti atipici.
Conosco alcuni dei leader dell’unico partito che da anni denunciava questo stato di cose, il KKE. Anni fa, quando si cercava di avvertire i greci di far loro capire che sotto all’economia galoppante c’era il trucco, la gente ti sputava in faccia ti urlava “va via comunista il tuo tempo è passato”, come farebbero oggi molti italiani.
Ma il trucco c’è e non è nemmeno così tanto nascosto. Basta sapere in che direzione guardare.
Chi saranno i prossimi non lo sappiamo, sicuramente noi siamo nel gruppo… stiamo pronti.


domenica 12 giugno 2011

LIBERTA' E' PARTECIPAZIONE... Il Referendum e il vento che cambia



Questa mattina sono andato a votare molto presto.
Volevo vedere l'aria che tirava nei seggi della mia circoscrizione, e devo dire che l'aria era buona.
Mi piace questo vento, mi piace questa primavera.
Questo risveglio da un incubo che sembrava doverci strangolare per sempre.
Quando ho aperto questo blog parlando con amici e colleghi, molti mi dicevano che sarebbe stato un altra delle solita cose per pochi eletti, per i “non anestetizzati del berlusconismo”.
Anche io avevo in effetti poca speranza, sapevo che era vero, che se la brace covava da qualche parte era comunque, molto ma molto sotto la cenere.
Mi ricordo di come si parlava fino a qualche mese fa della successione a Berlusconi: “Dopo Silvio chi? Marina o Pier Silvio?”.
E invece no, invece è arrivata primavera, e questa volta è una primavera diversa.
Nel '94 prima e nel 2006 poi, gli italiani hanno provato a togliersi di dosso il berlusconismo affidandosi ai partiti, delegando il loro voto a individui che nel bene e nel male ci hanno provato ma che sono stati perloppiù ingabbiati dai meccanismi della real politique e della ragion di stato.
Nel 2006 io, che pure milito e militavo in un partito di sinistra, mi sentii tradito, tradito sulla TAV sulla base Dal Molin, tradito sull'Afganisthan e sulla commissione d'inchiesta per Genova.
Oggi le cose, il vento, mi si conceda, è cambiato davvero.
Stamattina ho incontrato un ragazzo, al seggio, che diceva che faceva da taxi per le anziane del suo quartiere impossibilitate ad andare a votare.
“Le ho contattate in settimana, ho spiegato dell'importanza del Referendum e stamattina faccio il giro, ne prendo due alla volta, così posso aiutarle anche nel seggio, loro sono contente”
Chiedo: “Ma appartieni al comitato per il referendum, a qualche partito?”
“Macché, è solo che mi sembra importante, poi domani si riparte da cittadino”
Questo è il senso dell'intera questione. Questo è il risveglio che cercavamo.
Si deve votare e se si vota, gioco forza, si delega qualcosa a qualcuno, ma la vita reale è ben altro. Non è un discorso di rappresentanza ma di partecipazione.
Sono tornato a casa canticchiando Gaber, non avrei potuto fare diversamente.
Come al solito non so se raggiungeremo il quorum o no, non so se si fermeranno le armate della disinformazione di massa, so solo che abbiamo già vinto, perché stiamo tornando un paese civile.
Civile da Civis latino: cittadino.
Lo stato non lo fa la politica, lo fa il cittadino che se ne sente parte.
Qualche anno fa scrissi che la rivoluzione è uno stato permanente. Lo ripeto, la rivoluzione è uno stato in continua evoluzione, la fa chiunque prede una macchina e porta 5 anziani a votare, la fa chi non si rassegna al fatto che le cose vadano così punto e basta, la fa chiunque crede ancora nella speranza di cambiamento,...
Chi si scrolla di dosso il torpore del “tanto è così”, chi si informa, chi non vuole dare l'assurdo per scontato, chi si spaventa di fronte alle ingiustizie (quelle vere), chi insegna,... questi, che lo sappiano o no sono dei rivoluzionari... e cambieranno il mondo.

lunedì 6 giugno 2011

BERSANI VA ALLA SCONFITTA... riflessioni sulle parole di un leader folle


Avete presente la formula1?
Pensate se un pilota che grazie a un ottima squadra e al sostegno di tutti gli sponsor all'ultima gara decisiva decidesse di licenziare tutti e correre da solo certo che la macchina non lo tradirà perché lui è il migliore...
Ho la quasi assoluta certezza che si schianterà contro un muro, e per dirla tutta se succedesse sarei anche contento.
Bene, il signor Bersani è il pilota di cui sopra.
È da pochissimo finita la direzione del PD a Roma e il segretario ha appena detto, alla luce delle elezioni appena trascorse, che non si dovranno fare gli errori del passato e che le alleanze elettorali si dovranno fare tra quei partiti che si ritrovano “intorno al progetto del PD”.
Si legge in questi termini: “No alla sinistra...”
Voto unanime della direzione... unica voce fuori dal coro è quella di Rosy Bindi che avverte “tenere fuori Di Pietro e Vendola è uno sbaglio”.
Mi pare che chiamare questo atteggiamento “sbaglio” sia riduttivo, il nome esatto è SUICIDIO.
C'è gente che non impara mai, a Napoli non hanno capito nulla, non è che De Magistris è arrivato dove è arrivato perché la gente non ha capito cosa faceva, non è che Pisapia e Zedda sono dove sono per un errore di valutazione di 3 drogati da centro sociale.
Il PD è nato con una tara genetica che non riesce a sanare, l'idea che si possa essere maggioritari in un paese come l'Italia dove le sensibilità e le idee sono diversissime.
Se ieri era solo stupido dire che si poteva fare a meno di SeL, FdS e IdV oggi è addirittura colpevole.
La colpa sarà quella di avere per l'ennesima volta fatto vincere la destra, quella di essere riusciti a capitalizzare una vittoria trasformandola in una sconfitta esagerata.
Dall'alto della mia ignoranza politica so benissimo che alla fine l'idea di Bersani è quella, una volta scaricati tutti coloro che sono diversi dal PD di impostare una campagna acquisti in confindustria e tra i vari poteri forti per avere il lasciapassare per governare 5 anni.

Il fatto è che così facendo costruiranno un governo identico al presente magari solo un po' meno arrogante e impresentabile ma di fatto identico.
Al di la del fatto che avrebbero dovuto capire chiaramente che mettendo insieme i voti complessivi delle 3 forze di cui sopra, con il valore aggiunto che se queste si costituissero in coalizione acquisterebbero più voti, si arriverebbe tranquillamente al 10/12 per cento, senza il quale è impossibile battere la destra.

Bersani è un economista puro, e chi come me, da anni combatte contro il sistema delle cooperative sociali che uccidono i lavoratori e i servizi non ignora che la sua logica economica è quanto di più lontano si può immaginare dagli ideali delle sinistra ma l'idea che all'indomani di un voto come quello amministrativo si possano fare queste valutazioni mi sembra semplicemente un paradosso storico.
Ieri scrivevo, a proposito dell'intervista di D'Alema a Repubblica, che qui siamo un milione di anni luce oltre il Tafazzismo.
Ho sbagliato, qui non si tratta più di colpire le proprie palle ma di tagliare i testicoli a un intero paese e di chiedere a tutti coloro che hanno animato la campagna elettorale degli ultimi tempi di levarsi e tornare ordinatamente nelle retrovie.
C'e una sola risposta a questo genere di affermazioni: “NO! Noi siamo qui e non abbiamo intenzione di farci affossare ancora da loro”

IL SALE DELLA DEMOCRAZIA... l'Italia e i Referendum



Ci sono dei momenti che per loro stessa natura fanno da collante ad un'intera generazione.
Mio nonno mi raccontava della guerra dei partigiani, delle montagne e dei Nazisti, la liberazione la costituente.
Mia madre e mio padre degli anni che vanno dal 67 al 1978, con una data che precisa ha fatto finire tutto: la notte del 9 maggio, con i suoi due omicidi vigliacchi quello di Moro a Roma e quello di Peppino Impastato a Cinisi.
La mia generazione ha Genova, ha la lunga strada della resistenza alla berlusconizzazione di massa del paese, che per molti versi ricorda quella dei partiti clandestini sotto il fascismo.
Ecco, tra le varie date storiche di una generazione alcune sono segnate da una croce su una scheda elettorale.
Non le semplici elezioni politiche, per quello che valgono, ma i REFERENDUM.
I quesiti referendari non sono semplicemente questioni complicate su cui un gruppo di volenterosi decide di raccogliere firme e chiedere la consultazione al popolo.
Sono semplicemente l'espressione più alta della democrazia e, d'altra parte, la prova del nove dell'esistenza della stessa.
Infatti non sono mai piaciuti alla politica, il ricorso al referendum sta all'art. 75 della costituzione italiana: “È indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum”
Ecco appunto, ci voleva una legge che stabilisse per filo e per segno con quali regole si poteva fare il benedetto referendum.
In questo DC (allora al potere) e PCI (allora all'opposizione) insieme a tutti gli altri partitelli di sorta furono immediatamente d'accordo: “Non si fa la legge, non se ne accorge nessuno e il mandato costituzionale resta lettera morta”.
Alla fine era pure comprensibile, togliere ai partiti la responsabilità di decidere e metterla in capo ai cittadini era sì un gesto di democrazia ma il rischio era che poi la gente ci prendesse gusto e potesse organizzarsi al di fuori dei partiti e, si sa, in un paese dove il clientelismo vale più di qualsiasi altro dato, organizzarsi al di fuori delle elefantiache strutture dei partititi (di allora) non è certo un bene.
Così facendo si continuò a ignorare la cosa fino al 1970, quando finalmente arrivò la legge 352/70, così intitolata: “Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo”.
Perché aspettare tanto e concederla proprio allora? Perché la DC aveva perso la sua prima grande battaglia etica.
Nonostante la maggioranza parlamentare dei Cattolici, grazie all'unione tra PCI, PLI, Radicali, e partiti di sinistra il 1° dicembre 1970 era passata la legge 898/70 denominata Fortuna – Baslini (dal nome dei promotori) che aveva per titolo: “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, in Italia, il paese del papa, dell'oppressione femminile, del maschio dominante, il paese dove vige ancora il delitto d'onore, in Italia per colpa di Comunisti, Radicali e Liberali, adesso si può Divorziare.
Il vaticano è irritato terribilmente con i vertici della Democrazia Cristiana, perdere l'appoggio della Santa Sede li metterebbe in una posizione politica di svantaggio, la maggior parte della campagna elettorale DC la fanno i sacerdoti nelle parrocchie e tutto il tessuto capillare che il partito ha creato nei piccoli e piccolissimi centri è dato dalla estrema ramificazione dei movimenti religiosi (vedi l'Azione Cattolica).
Rischiare di perdere l'appoggio del Vaticano è troppo. I vertici della Democrazia Cristiana allora guidata da un giovanissimo fanfaniano di nome Arnaldo Forlani decidono che vale la pena tentare il tutto per tutto.
La legge sul divorzio è la dimostrazione che su temi importanti su cui per colpa delle resistenze della chiesa l'Italia è rimasta indietro, partiti di Sinistra e di centro non cattolico, possono coalizzarsi e questo per la DC significa semplicemente la fine.
Come fare a uscire da questo cul de sac? Il referendum fu un atto di superficialità che la DC non si perdonerà mai. Credere che la Chiesa, nelle campagne e nelle città potesse ancora vantare un primato etico fu una sottovalutazione incredibile dei tempi che correvano.
Mariano Rumor allora presidente del consiglio per la terza volta mette la firma sotto alla sua condanna a morte.
La Chiesa e la DC sperano di mandare la gente in massa contro il divorzio, sperano che le infuocate prediche dei sacerdoti, le prese di posizione dei capi dell'Azione Cattolica e delle ACLI, le grandi manovre cha arrivano fino al papa posano cancellare la legge “indegna della sacralità dell'unione sponsale” (oss. Romano 12 dicembre 1970).
Come previsto la gente a votare in massa ci va.

Il 12 maggio del '74
Vota l'87,7% degli italiani e i NO arrivano al 60%, la legge sul divorzio è salva, si apre una nuova pagina della politica italiana.
In realtà non si può nemmeno dire che la pratica referendaria sia un caposaldo della nostra coscienza politica, in Italia si è ricorsi a referendum abrogativo 15 volte ma per la metà delle volte non si è raggiunto il quorum.
Oggi il Fatto Quotidiano si fa due conti sulle proporzioni che dovrebbe avere il corpus elettorale perché il voto sia valido 25.332.487 votanti (27 volte in più degli elettori di Pisapia, Zedda, e De Magistris), in più c'è un'alta possibilità che alcune schede, quelle per intendersi che recano il quesito sul nucleare per i votanti all'estero, che per effetto dei casini del governo recano una domanda diversa potrebbero essere espunte dal computo generale, stiamo parlando di un paio di milioni di voti se consideriamo italiani all'estero e italiano momentaneamente fuori sede per motivi professionali o di studio.
Non è un'impresa semplice, ma ce la dobbiamo fare, dobbiamo difendere i nostri diritti civici, per noi e per coloro che verranno. Qui si gioca qualcosa di simile a quel voto del 1974, qui si gioca il concetto stesso che ci sono beni che devono essere pubblici per forza, perché sono un bene di tipo necessario, “L'acqua non è un sottoprodotto della CocaCola” (M.Paolini).
Qui si deve mettere una barriera all'arroganza di chi decide che da domani si fanno le centrali nucleari perché ci servono (servono a lui perché noi ne faremmo a meno), quando in tutti i paesi del mondo America compresa di centrali non se ne costruiscono più, perché costano troppo e non sono mai davvero sicure, oppure si chiudono quelle già esistenti come in Germania, perché si può evitare di fare energia dall'atomo.
Qui si gioca la partita del privilegio di pochi contro la subordinazione di molti, l'arroganza del potente di turno che nemmeno si sottopone a giudizio, il novello Marchese del Grillo che dice con baldanza agli arrestati per il suo stesso reato: “Io so' io e voi non siete un cazzo”



Non ci possiamo limitare ad andare a votare, dobbiamo andare a prendere gli amici, i parenti, i delusi, quelli del “tanto fanno sempre quello che vogliono loro”, dobbiamo bussare alle porte dei nostri condomini, casa per casa, dobbiamo andare nelle piazze (chi come me lo sta facendo vede molta attenzione e partecipazione, nessuno mi ha ancora insultato).
Dobbiamo perché ancora non è finita, non abbiamo finito di doverci contare, un risultato spettacolare se lasciato solo non serve a nulla.
E, soprattutto non dobbiamo smettere di contarci mai, perché qui sta la democrazia.

domenica 5 giugno 2011

IL CONTE MAX AL CAPEZZALE DEL CAVALIER BISCIONE...come D'Alema vuol salvare il PdL



Affogare è uno sport complesso... alla fine se ti butti da un ponte c'è sempre qualcuno che ti vuole salvare a tutti i costi, anche se il tuo suicidio potrebbe essere il capolavro della tua vita, c'è sempre qualcuno disposto a rovinarlo.
Questo mi pare succeda dalle parti di Arcore da ieri mattina.
La situazione è chiara, ampiamente discussa e sviscerata, come la si giri B. si dibatte in difficoltà che gli potrebbero essere fatali, con Ferrara che insiste con le sue primarie farlocche, Rotondi che oggi in una pregevole intervista al Fatto cantava il De profundis al suo capo ormai amareggiato e pronto a mollare per via di tutto l'odio e l'incomprensione che gli si scaricano addosso, con i ministri in ordine sparso a smarcarsi dalle scelte del premier, i “responsabili” che passano all'incasso e che non si vogliono accontentare delle briciole e con i suoi più autorevoli giornalisti che fanno il tifo contro di lui come si deduce dal pregevole fondo di Galli della Loggia sul Corriere di ieri in cui il politologo più apprezzato da Berlusconi si è accorto (con 19 anni abbondanti di ritardo) che nel PdL comanda uno solo e domanda ai membri del partito di alzare la testa.
Nemmeno nel 1994 il Cav ha vissuto momenti così duri e turpi, nemmeno quando Bossi staccò la spina e lo fece cadere.
Addirittura per limitare i danni, primo e unico presidente della storia mondiale, ha nominato un segretario, il suo cucciolotto di fiducia Angelino Alfano. Per eleggere un segretario ci vorrebbe un congresso ma a lui non importa un cavolo, tanto è per finta.
In questo bailame è difficile vedere una luce fuori dal tunnel.
Nemmeno il più scaltro potrebbe tirar fuori il proverbiale coniglio dal cappello, soprattutto perché la mano che Silvio si trova a giocare se l'è truccata da solo e ora ha perso il conto delle carte.
E invece no.
Ieri bello come il sole e nefasto come un Dio, è giunto in soccorso del premier il conte Max, il leader Massimo, l'uomo dal veliero d'oro... il sempre inopportuno Massimo D'Alema che con una bellissima intervista su Repubblica ripropone (perché quando vuole sa essere davvero originale) un Governissimo per portare avanti la legislatura per i prossimo 2 anni, a guidare il governo dovrebbe essere un nome sopra le parti e il Pd è disposto a “fare la sua parte”.
Ovviamente il mandato sarebbe: “fare le riforme e cambiare la legge elettorale”, ci mancherebbe.
Ecco, ci sono delle volte che viene da domandarsi se la vera vocazione di D'Alema non sia il comico e se per frustrazione sia divenuto politico.
Le amministrative hanno lanciato un segnale talmente chiaro che nemmeno i più biechi imbratta carte di partito se la sono sentita di sminuirlo, poi ci sono state le figuracce internazionali (pare che Obama sia ancora piuttosto interdetto per la sceneggiata al G8 e abbia dato ordine all'FBI di sparare a vista sul cavaliere se si avvicina a lui un'altra volta), poi c'è il tentativo vigliacco e fuori tempo massimo di fare saltare i referendum...
Che altro ci vuole a D'Alema per fargli capire che non c'è una singola persona nella sinistra italiana (e anche nel centro, via) che sia desideroso di un ennesimo inciucio per salvare Silvio.



Dalle colonne del Manifesto stamani Asor Rosa paventava una geniale trovata che potrebbe essere l'ultimo regalo proposto a Silvio da certi politici italici: un bel salvacondotto giudiziario e la promessa che a fine legislatura il vecchio leader si ritiri sua sponte con la garanzia che il suo patrimonio non sarà mai toccato... ci sarebbe da capire cosa ci guadagna D'Alema perché di base l'Italia non ci guadagna nulla.
Qui, per dirla con Luca Telese, siamo un milione di anni luce oltre il tafazzismo della sinistra. Qui si ha paura di perdere anche quando la vittoria è stata già archiviata, qui ci sono leader che sono così lontani dalla realtà di un paese che paiono provenire addirittura da un altro pianeta.
Vorrei sapere dalla base del Pd (gli elettori, i compagni, come si diceva una volta) se ritengono che il signor Massimo abbia una qualche legittimità a dire certe cose all'indomani della vittoria di Milano, Napoli e Cagliari.
Le realtà, e questo spiace dirlo, è che il Pd non sa ancora se sia uscito bene o male dalle elezioni e come al solito reagisce a modo suo, in ordine sparso, ognuno seguendo la sua corrente di pensiero e il suo bacino elettorale, se almeno prima si telefonassero sarebbe bene.
A Milano, a Napoli e a Cagliari è andata essenzialmente in crisi la ricetta su cui si basa l'intero impianto del Pd, cioè che si possa costruire un grande partito di centro con vagi riferimenti a Sinistra e che attraverso quello si possa tornare a una politica degli accordi di palazzo simile a quella degli anni 70 che ha generato il pentapartito, in quest'ottica sta la proposta dalemiana che non tiene però conto di tutta una serie infinita di variabili.



Anzitutto non è correndo al centro che il Pd ha recuperato i sui voti, anzi, laddove si è accordato con il terzo polo non si sono visti grandi risultati, la gente ha bisogno di un segno forte di discontinuità e questo segno è dato dalla sinistra, quella che un tempo era definita radicale FdS, SeL oppure da partiti che esprimono candidati che possano dare l'idea di essere puliti dal macro sistema politico affaristico(il caso di De Magistris con Napoli).
Candidati che sono comunque capaci di rivendicare la propria indipendenza da un sistema pur non dileggiandolo come nel caso si Pisapia che rimprovera Vendola per aver detto cose imprecise su Milano e lo invita a star zitto se non conosce una città o come De Magistris che si autosospende dall'IdV perché vuole essere il sindaco di Napoli e non dei Partiti.
Tutto questo è assolutamente una terra straniera per il conte Max, lui è abituato a gestire il potere per il potere, una sorta di Andreotti rosso (sì vabbé), un omino da apparato che sa a memoria tutti i numeri di telefono degli avversari, perché se ti accordi prima di cominciare a menare non rischi di rovinarti la giacca nella colluttazione.

Il problema è che questo atteggiamento è lontano dai cittadini e che non si può sperare di andare avanti a lungo così, quello che la gente ha detto chiaro e tondo alla politica è stato: “Noi vi abbiamo sorpassato, ora, o ci state dietro o facciamo a meno di voi, perché come siete, siete inutili”.
Farebbe bene a tenerlo in mente il signor D'Alema per il bene del suo partito sempre meno di sinistra e sempre più simile alla DC.

sabato 4 giugno 2011

L'OTTO SETTEMBRE DEL DITTATOR SILVIO... radiografia di un potere in frantumi



Silvio Berlusconi non smette mai di stupirmi.
Ultimamente mi ricorda quei personaggi dei serial horror, tipo venerdì tredici o Nightmare, di quelli che più li ammazzi più ritornano efferati e ignobili.
Tra l'altro Silvio Kruger condivide con tali personaggi anche la caratteristica che le sue trame diventano sempre più sconnesse e stucchevoli a ogni remake.
Chiunque fosse stato così poco furbo da credere che la sua carriera fosse finita con la megabatosta elettorale di pochi giorni fa (con il capolavoro finale, che sa di sfottò, della giunta comunale di Arcore che passa a sinistra) si dovrebbe ricredere al solo guardare i giornali degli ultimi 3 giorni.
Se da Bucarest infatti il fulgido leader ha abilmente sconfessato di aver mai detto “Queste elezioni amministrative hanno un valore politico”, “Milano è un test sull'operato del Governo e su di Me”, “A Napoli ci metto la faccia, se vince De Magistris ce ne andiamo tutti a casa”, adesso, tornato bello come un dio dal suo viaggetto di sicurezza sta facendo di tutto per fare fuori i referendum che tanto gli stanno sulle scatole.
Non credo che dirà mai la famosa frase “Se raggiungiamo il quorum me ne vado” perché la possibilità di prendere 2 calci nel sedere in 3 settimane forse è troppo pure per lui ma sicuramente ci sono troppi interessi in ballo perché se ne possa stare con le mani in mano senza dire le sue solite porcherie.
Se da un lato infatti l'ultima dichiarazione lo mette in salvo in caso di raggiungimento del quorum: "Il governo si rimetterà alla volontà dei cittadini; l'esito del referendum non ha nulla a che vedere con il governo: se i cittadini non vorranno il nucleare, il governo ne prenderà atto" da un'altro predica l'astensionismo definendo i quesiti referendari (ma anche tutti i referendum in sé) “Inutili perché fuorvianti”, prendiamo atto ma considerando che la frase al fianco della Moratti in campagna elettorale: “Questo è un referendum sul governo e sul Presidente del Consiglio” era piuttosto lapidaria possiamo capire quanto gli possa interessare il parere dei cittadini.

D'altra parte Silvio ha capito che qualcosa si è inceppato. Non ha capito come sia successo ma ha capito che è successo.
Nonostante il dispiegamento di forze e le tecniche più burine, il popolo bue ha bypassato i mezzi di distrazione di massa (Tg1, Tg2, Tg4, Tg5, Studio Aperto, piccole televisioni private dietro cui alla fine c'è sempre un suo amichetto, Libero, Il Giornale, Il Tempo, Panorama, Chi, Novella 2000,...) e ha deciso che lui “Non Ha Ragione” e che è ora di finirla.
Davanti a un seggio a Milano l'altro giorno una signora mi disse proprio così: “Guardi, lei fa il giornalista e le cose le sa di sicuro, io non so niente ma le posso solo dire che Quello Lì (Berlusca nda), non ha ragione”.

Tutti i dittatori in tutte le epoche sono passati per le stesse fasi, ci si può fare una legge, si va dall'esaltazione al consenso, dal consenso alla stratificazione, dalla stratificazione al mugugno, dal mugugno al rifiuto, dal rifiuto all'otto settembre e da qui a Piazzale Loreto.

L'otto settembre è in aria da un po', è bastato che in un momento di distrazione Silvio facesse una timida apertura alla democratizzazione del suo partito di plastica che tutti sono saltati sul carretto... oggi Mara Carfagna, fa campagna elettorale per se stessa per dire ai suoi fan di facebook di votarla nelle “primarie” on line di Libero.
Che poi 'ste primarie siano di fatto una fuffa poco importa, l'importante è mettere un po' di simpatia sul tavolo quando ci sarà da spartire la torta.
Quello che questi poveracci non hanno capito, o hanno capito fin troppo bene, è che se dall'otto settembre si passa a Piazzale Loreto, anche loro finiranno nel tritacarne, come successe ai gerarchi di prima linea subito dopo la guerra. Si possono salvare coloro che si sono smarcati per tempo o quelli che, bontà loro, sono rimasti nelle retrovie, sempre e comunque pronti a fare quello che il capo desiderava ma mai sotto i riflettori a fare da parafulmine, ma coloro che hanno intinto il pane nella zuppa fino alla fine non si salvano mai!
Sta qui il senso della rabbia del PresDelCons contro l'ex amico Gianfranco Fini. Il novello centrista infatti ha capito che gli si può perdonare la sua trentennale militanza da capo dei fascisti se solo riesce in tempo a cambiare maglietta e a diventare antiberlusconista, ché tra qualche tempo sarà un merito incontrovertibile e incontestabile per tutti.

Questa è la seconda caratteristica del dopoguerra: se te la giochi bene, la tua ultima primavera ti salva da tutte le porcherie che hai fatto prima.
Sotto il fascismo tutta confindustria era fascista, tutti i padroni del vapore erano iscritti e sodali del littorio ma appena prima della fine si sono tutti riciclati portando chiappe e soldi in Svizzera e spacciandosi per Antifascisti in fuga, alla fine non ci ha rimesso nessuno.
A Fini dobbiamo riconoscere la velocità di rivoluzione copernicana e la teatralità del gesto con cui si è smarcato dal premier.
Il vecchio camerata infatti sapeva benissimo che fondando quella specie di partito che ha per nome Futuro e Libertà non avrebbe mai raccattato un mezzo voto, anche solo per via dei suoi nuovi compagni di letto, da Rutelli a Casini ma sapeva altrettanto bene che il solo allontanarsi gli permetterà se non altro la vita politica di per qualche altro lustro.

Ovviamente non sarà la tornata referendaria che darà la spallata al dittatore, i numeri in parlamento ci sono e rimarrebbero tali anche se davvero Mastella tenesse fede al suo impegno con gli elettori e si suicidasse una volta per tutte (lo ha dichiarato lui: “Se vince De Magistris io mi suicido”).



L'ago della bilancia è e resta Bossi. Incredibilmente il capo della Lega sa che se i referendum saranno bloccati in extremis dai tentativi del suo capo la base leghista sarà piuttosto incazzata con lui (nessuno vuole pagare 10 volte tanto per farsi la doccia e nonostante la retorica sui Padani che discendono dai barbari celti, nessuno ad oggi in Padania vuole puzzare come Obelix e tantomeno farsi una radiografia al plutonio ogni volta che fa due passi in Brianza) e se passano e superano il quorum sarà l'ennesimo autogol perché ci si è messi dalla parte sbagliata.
Dalle parti di via Bellerio (sede della Lega e di Radio Padania) si mugugna parecchio e c'è gente come Matteo Salvini che intona da qualche mese il canto del ve lo avevo detto io, tanto da costringere la sciura Letizia a poche settimane dallo schiaffo elettorale ha nominare come suo eventuale vice il pluritrombato ex ministro Castelli.

Pontida sarà quindi la cartella clinica del Governo... a seconda dell'aria che tira si potrà capire quanto tempo ci sarà prima dell'eutanasia ma i chiari di luna non sono buoni e per capirlo basta farsi un giretto nella piccola provincia padana dove il Carroccio ha perso parecchi voti anche nei paesi dove di solito vinceva a mani basse (vedi Varese dove arrivare al ballottaggio è già di per sé un disastro).
Coi leghisti, poi, ci si deve sempre parlare, soprattutto nel pensatoio preferito da questi: il bar.
Raccolgo spesso notizie dagli elettori padani in questo modo, ieri stavo in un paesello di nome Arluno e mi sono soffermato a fare due chiacchiere con un signore che imbracciava la Padania con la sinistra e un caffè con la destra alla fine mi ha detto: “Io a questi qui (il leghisti) gli credo dai tempi dell'ampolla del Po, ma se fanno ancora la cazzata di stare dietro a quello stronzo (Sempre Berlusconi nda) perché paga i conti delle sedi del partito io vado sotto Radio Padania e li prendo a fucilate”.

D'altra parte chi è causa del suo mal pianga se stesso, fu proprio l'Umberto a fare sapere ai suoi accoliti nell'ormai remoto 1993 che le pallottole costano 300 lire.