sabato 18 giugno 2011

QUESTIONE DI RATING... chi vuole farci diventare come la Grecia


Ci sono alcune notizie che non colpiscono l’occhio del lettore immediatamente.
C’è una classifica più o meno definita che standardizza quale tipo di notizia attirerà immediatamente l’attenzione e farà s’ che il compratore di quotidiani vada subito nelle pagine interne a vedere come va a finire.
La cronaca nera, poi gli scandali di vario tipo (in Italia leggi Berlusconi), sono in cima a questa classifica.
Certamente la notizia che Moody’s abbia in animo di abbassare il rating dell’Italia da Aa2 a Aa3 non è tra le notizie che fanno sì che un qualunque lettore medio si fiondi nelle pagine di economia per vedere chi è l’assassino.
E invece sarebbe il caso di farlo.
L’economia non è una scienza, l’economia, soprattutto nei sistemi macroeconomici è un gigantesco gioco di ruolo, solo che al posto di maghi e stregoni, morti viventi e vampiri ci sono banche, agenzie di rating, credit default swaps, edge found, debiti sovrani e via discorrendo.
Se vinci il gioco di ruolo non se ne accorge nessuno e la vita dei cittadini continua ad andare di male in peggio come è accaduto negli ultimi anni in Europa e nel Mondo ma se per caso (è proprio il caso di dirlo) perdi, allora sei davvero fregato.
Uno spettro si aggira per l’Europa, si chiama Fallimento.
Analizziamolo per i non esperti in un’ottica che molti economisti riterrebbero comunista, e infatti lo è.
Prima di tutto sarà necessario fare dei chiarimenti che non si fanno mai quando si parla di cose del genere al telegiornale.
Numero 1: Moody’s, Standard and Poor’s (S&P) e la meno conosciuta Fitch, non sono come sembra credere qualcuno (o voler far credere) enti governativi o società di consulenza e studio. Sono banche di investimento che per tutta una serie di motivi hanno il diritto di pubblicare le loro valutazioni su uno stato. La valutazione di rating indica il premio di rischio da chiedere all’azienda quando investe su un dato pacchetto azionario privato. Essendo però anche le tre agenzie degli investitori queste hanno tutto l’interesse a manipolare il mercato a loro piacimento apprezzando o declassando un’impresa.
Numero 2: Il giudizio di S&P, Moody’s e Fitch non ha nulla a che vedere con lo stato di salute democratico di un paese. Secondo i loro dati di valutazione un paese dove vigesse la schiavitù sarebbe sicuramente più affidabile di un paese democratico, anche solo per il fatto che il costo della democrazia per certi aspetti è una perdita e non un guadagno, il caso portoghese, dove si vuole eliminare la sanità pubblica ed egualitaria è salutato dalle agenzie di rating come la soluzione per uscire dai problemi del Portogallo… vallo a spiegare a un dializzato.
Numero 3: uno stato non è una SpA, sembra incredibilmente sovversivo dirlo, ma è così, porco cane!

Fatte le premesse passiamo alla storia.
Il problema del rating abbassato per l’Italia passa dal fatto che la vittoria referendaria ha creato alle banche di investimento qualche piccolo problema.
Le valutazioni degli istituti si basano su semplici modelli matematici che, essendo matematici, hanno poca attinenza con la realtà dei fatti.
Per ciò che riguarda il referendum in Italia, i cari analisti americani hanno fatto circa questa equazione (qualche mese prima dell’infilata di maggio giugno): Berlusconi arriva da una serie vincente di 3 anni (politiche – europee – regionali) e il suo consenso non si può erodere più di tanto soprattutto nelle sue roccaforti (Milano), in più sono vent’anni che nessun referendum raggiunge il quorum e questo fa supporre che gli italiani non siano più interessati a questo tipo di consultazione, aggiungiamo il fatto che i referendum sono stati piazzati a quindici giorni dai ballottaggi amministrativi, nel primo week end di giugno utile per il mare e la gente si stufa ad andare a votare di continuo.
Risultato: presumibilmente l’Italia si sveglierà con le centrali nucleari, con l’acqua privatizzata e con un presidente del consiglio che potrà fare il cazzo che gli pare senza che nessuno possa fermare la sua macchina in corsa.
Ciò significa in termini macroeconomici: care aziende di mezzo mondo il self service è aperto andate a servirvi, il popolo bue non se ne accorgerà mai.
Non è andata così. E se io fossi, per esempio un’azienda francese che arricchisce uranio per le centrali nucleari di “nuova” generazione, che si è comprata un bel pacchetto di azioni Enel per andare sul sicuro, certa dell’affare, sarei davvero incazzato.
Sarei incazzato pure se fossi un investitore a cui un governo di ladri e mafiosi abbia promesso 5 anni di relativa capacità di manovra senza problemi e mi trovassi con un governo ricattato da una massa di trogloditi verdevestiti che domani faranno “uhga uhga” sul pratone di Pontida e potrebbero decretare la mia morte.
In fine sarei incazzato se fossi un ipotetico costruttore (facciamo finta che mi chiami Cabassi tanto per inventare un nome) e facciamo finta che abbia comprato terreni agricoli d’accordo con un ipotetico sindaco (facciamo finta di Milano) per rivenderli come edificabili per un evento (diciamo per esempio Expo 2015) e poi arriva un sindaco che si dice post comunista (per dire un nome a caso Pisapia), ma sappiamo che quelli lì perdono il pelo ma non il vizio, e comincia a parlare di esproprio, visto che per i piccoli proprietari è stato fatto. Ma io volevo guadagnarci miliardi, poi tanto l’Expo non lo voleva fare mica sul serio la Moratti.

Ecco tutti questi economisti da rapina, gente che si è fatta una fortuna sulle spalle della popolazione è piuttosto incazzata con S&P e compagni. Le cose non dovevano andare così, in Italia doveva funzionare come sempre, col dittatore al suo posto e lo stato da spremere ancora per tre o quattro anni e poi buttare tutto via come si è fatto con la Grecia e come si vuol fare con l’Irlanda.
Come rispondono quindi le agenzie di rating, abbassando il punteggio, trovando pure delle giustificazioni economiche sulla lenta crescita del paese, ma sappiamo che è dagli anni ’90 che l’Italia cresce a velocità ridotta rispetto agli altri paesi forti dell’eurozona.



Questi grandi economisti prosperano su economie che tutto hanno fuorché il dato di realtà.
Questa finanza non è altro che una truffa legalizzata, qui si sostiene senza mezzi termini che esistono si e no 1000 persone in ogni paese che decidono quello che è giusto e sbagliato e tutti gli altri devono soggiacere.

La Grecia è un caso limite. Qui la gente si è svegliata in ritardo, solo quando ha capito che ormai era fatta. Il caso greco dovrebbe fare temere ciascuno di noi per la sua drammaticità.
Pensate per un solo attimo a che significhi avere uno stipendio di 1200 euro che il giorno dopo diventa di 700 solo perché il tuo governo ha deciso di fare lo spericolato per poter apprezzarsi nei conti farlocchi del gioco di ruolo dell’economia producendo debito e vendendolo al miglior offerente finché non è scoppiato il pallone.
La frase usata dai governanti greci: “aggiustamento nei contratti nazionali” è semplicemente un sinonimo di Licenziamento di tutti i contratti atipici.
Conosco alcuni dei leader dell’unico partito che da anni denunciava questo stato di cose, il KKE. Anni fa, quando si cercava di avvertire i greci di far loro capire che sotto all’economia galoppante c’era il trucco, la gente ti sputava in faccia ti urlava “va via comunista il tuo tempo è passato”, come farebbero oggi molti italiani.
Ma il trucco c’è e non è nemmeno così tanto nascosto. Basta sapere in che direzione guardare.
Chi saranno i prossimi non lo sappiamo, sicuramente noi siamo nel gruppo… stiamo pronti.


2 commenti:

  1. Wall Street non ha dubbi, nello schierarsi con le agenzie di rating. Nel centro globale della finanza, l'attacco della Commissione europeaviene considerato un classico esempio di malafede. Come un malato febbricitante che se la prende con il termometro e lo spezza, Bruxelles viene accusata di rigettare il verdetto scomodo proprio quando un Paese membro come il Portogallo si rivela incapace di mantenere le sue promesse sulla riduzione del deficit pubblico. Ma prendere per dogma le pagelle delle agenzie è un'ingenuità imperdonabile. Lo stesso Fondo monetario le accusa di «non avere anticipato le debolezze dei Paesi dell'eurozona»: i loro declassamenti sono ex—po-st, non insegnano nulla di nuovo. Peggio, nel caso dei debitori privati, le agenzie sono inflagranteconflitto d'interessi, si fanno pagare dagli stessi soggetti a cui danno i voti. Questa fu una delle concause della grande crisi: i voti Aaa si sprecavano, a favore della finanza tossica, i titoli strutturati che contenevano i mutui subprime. Obama e l'allora maggioranza democratica al Congresso tentarono di intervenire su questa collusione. Dopo un lungo braccio di ferro, la lobby delle agenzie di rating stravinse. Nel giugno 2010, la nuova legge americana sui mercati finanziari ha cambiato le regole per quasi tutti, ma non per loro.

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  2. @ratataplan d'accordo su tutta la linea

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