domenica 30 ottobre 2011

COME TI FREGO CON LE PAROLE... 1) Crescita economica

Nasce una nuova rubrica, credo che la intitolerò “come ti frego con le parole”. Oggi analizziamo la parola Crescita e la parola Crescita Economica, che dovrebbe essere una specificazione della prima. Secondo il dizionario della lingua italiana Treccani, créscita s. f. [der. di crescere]. – Il fatto di crescere, di svilupparsi: avere una c. normale, stentata; il bambino ha fatto una rapida c. verso i tre anni; lozione per la c. dei capelli; concimare il terreno per aiutare la c. delle piante. In usi estens. e fig., avanzamento, sviluppo: la c. democratica di un paese, la c. culturale di una società. Con accezione specifica, in economia, c. economica, o assol. crescita, sinon. di sviluppo economico, e più in partic. l’aumento del reddito nazionale in un dato periodo di tempo, generalmente misurato in percentuali annue (tasso di c.): il piano economico puntava a una c. del 3,5%; meccanismi di c.; c. zero, mancanza di crescita, ossia la condizione stazionaria di un’economia in cui non si registra nessun aumento del reddito nazionale (per un uso più generale dell’espressione c. zero, v. zero). Per lo stesso motivo alla voce Crescita Economica l’enciclopedia Wikipedia recita: La crescita economica è un fenomeno inerente soprattutto ai sistemi economici moderni, un contesto caratterizzato da un incremento nello sviluppo ovvero un incremento che riguarda la ricchezza, i consumi, la produzione di merci, l'erogazione di servizi, l'occupazione, il capitale, la ricerca scientifica, le nuove applicazioni tecnologiche. Lo so che sono pedante. Se mia zia che di mestiere faceva la maestra elementare avesse letto queste righe mi avrebbe detto che sono cose che si insegnano in seconda o terza. Ma siamo in Italia e le cose bisogna ripeterle più e più volte perché altrimenti succede che usano una parola per dirne un’altra. Pacchetto Sviluppo, misure per la Crescita, in Italia la crescita economica si fa così: ottobre 2010, Collegato Lavoro (ministero del Wellfare): dal 20 – 10 – 2010 non è più possibile fare ricorso per sanare le assunzioni mascherate. Perdono la possibilità di fare ricorso tutti coloro che prima di quella data hanno lavorato con contratti di lavoro illegittimi (CoCoCO/false partite iva/contratti a progetto/tempi determinati/contratti a somministrazione). Giugno 2010 innalzamento dell’età pensionabile delle donne nel pubblico impiego (sempre Sacconi), se le donne vanno in pensione a 65 anni, questo significa tra l’altro che le insegnanti andranno in pensione a quell’età, il che avrebbe come riverbero che le lauree delle donne avranno ancor meno valore sul mercato, in considerazione del fatto che già oggi una donna che entra nella scuola fa una media i 8 anni di precariato prima di vedere una cattedra. Triennio 2010 – 2013, blocco degli stipendi nel settore pubblico, non capisco che razza di crescita ci possa essere se non mi dai soldi da spendere. Passiamo al settore privato. Appoggio incondizionato a Marchionne e alla sua politica dello spremiagrumi con l’operaio. Interessante l’affermazione del Premier: “Se fossi in lui me ne andrei dall’Italia”. Attacco sistematico delle parti sociali che non reggono le calze al governo, norme per controllare e limitare gli scioperi, norme per diminuire la rappresentanza dei delegati nelle fabbriche e dulcis in fundo l’articolo 8 del decreto sviluppo che di fatto dice che basta la firma di un sindacato presente nell’azienda per rendere qualsiasi norma valida per tutti i lavoratori, anche un sindacato interno giustappunto creato per la bisogna. Alla fine della breve carrellata (alla faccia di chi dice che Berlusconi non fa niente) la legge sui licenziamenti facili, di cui sappiamo tutto perché è materia degli ultimi giorni. Adesso rifacciamo la domanda e riformuliamo la risposta. Che cosa vuol dire crescita in Italia? Vuol dire che in Italia, secondo Berlusconi e compagni, abitano circa 3000 persone, sono quelle che detengono il capitale economico più consistente e che lo deterranno sempre in barba a fulmini e tempeste. Queste qui devono crescere a dismisura, non importa se il popolo crepa di fame. Attenzione questa non è crescita, è asfissia. Prima si comincia con i ceti più deboli, poi si procede verso l’alto. Negli anni che vanno dal 2008 al 2010 quelli che hanno fatto fallimento sono stati bene o male i piccoli esercenti e la piccola e piccolissima impresa ma ormai la crisi comincia a colpire anche le aziende di media grandezza (quelle che stanno tra i 15 e i 30 dipendenti, con un fatturato tutto sommato decente). La crescita economica di B. è semplice nella sua perversione. Si può tradurre con un esempio. Ho 10 figli, non ho abbastanza soldi per far mangiare tutti, potrei cercare un sistema per fare più soldi pianificando meglio le mie risorse oppure fare morire di fame i 5 figli più piccoli, fare emigrare i due figli più intelligenti, mettere ai lavori forzati il figlio più fesso e fare diventare obesi i due figli che restano. Questo finché gli altri otto figli non decidono di fare fuori il padre e di ricominciare a crescere in modo idipendente.

sabato 29 ottobre 2011

SCHIAVI POVERI E RASSEGNATI...storie di giovani lavoratori (2)

A volte mi capita di passare il pomeriggio a fare quattro chiacchiere edificanti. Oggi l’ho passato in compagnia di un vecchio amico a parlare di lavoro. “Dopo anni a cercare di farsi una carriera uno pensa che la sua massima realizzazione sia fare l’evasore fiscale” mi dice il mio amico che di mestiere fa il fotografo. Il lavoro da sogno nella città della moda. Qui per un fotografo di moda non ci sarebbero problemi, e invece se fai il tuo lavoro e non sei nessuno, se vuoi emergere devi lavorare per 6 euro l’ora e pagarci sopra le tasse. “Ho un altro amico che lavora per CANON e che deve lavorare gratis perché a 35 anni e con 10 anni di esperienza ancora devi farti le ossa e devi dire grazie a chi ti fa lavorare gratis perche così ‘ti fai conoscenze’ ma che conoscenze devo farmi ancora?” mi spiega. Bella domanda, anche perché oggi l'esperienza pare servire davvero per tutto, devi essere "esperto" anche se vuoi imparare un mestiere L’altro giorno passando per un centro commerciale ho letto sulla vetrina di un parrucchiere di moda il cartello: “CERCASI APPRENDISTA CON ESPERIENZA”, ma come? Mi domando, l’apprendista è pagato meno e tu datore di lavoro paghi su di lui la metà delle tasse proprio perché non ha esperienza, se ho esperienza mi paghi come un dannato parrucchiere. Mi domando se oltre a me qualche altro avventore del centro commerciale si sia chiesto se quelli che fanno richieste del genere non si vergognino. Ecco come va il mondo del lavoro oggi, mentre un ladro 75enne prepara la nuova legge sui licenziamenti lampo, roba di cui tutta l’Italia sentiva il bisogno (come sente il bisogno di una legge sulle intercettazioni). Sono cose che capitano quando parli con i giovani lavoratori, perché da noi fino a 45 anni sei giovane. Non guadagni, vivi in casa con mamma perché non potresti fare diversamente e poi tanto un mutuo non te lo fanno e le case senza garanzie non te le affitta nessuno e speri di riuscirci, un domani, a progettarti un futuro. E allora anche a un ateo come me viene da dire menomale che c’è la Chiesa, menomale che c’è un Papa che dice che il posto fisso è un diritto dell’umanità e che a Milano c’è stato fino al mese scorso un Cardinale che si batteva contro il precariato. Mi viene da dire così, poi guardo una fondazione sociale che sta in mano alla curia di Milano dove senza motivo i lavoratori vengono assunti con contratti a tempo determinato, non perché sia giusto così ma perché almeno ti tengono per le palle per dodici mesi e fai 300 ore di straordinario senza fiatare, ti rendi disponibile a lavorare gratis e ti fai 90 notti passive (stai dentro ma non ti pagano) dicendo pure grazie perché ho un letto e non devo dormire sul divano. Poi passa l’anno e ai lavoratori viene dato un bel premio: un altro contratto a tempo determinato di un anno perché essendo in crisi non possiamo offrire di più e dovete dire grazie perché di questi tempi almeno guadagnate soldi. E se protesto, ti licenzio e ne trovo un altro più disposto di te a fare quella vita, risolto il problema. Bella la Chiesa, bravi a predicare sugli illeciti degli altri senza pensare ai propri, tanto poi la domenica si assolvono a Messa. Ma siamo solo noi a preoccuparci, perché come mi ha spiegato una lavoratrice della benemerita fondazione di cui sopra: “Che vuoi fare, bisogna rassegnarci, il mondo va così e nessuno lo può cambiare”

giovedì 27 ottobre 2011

IL MODELLO BERLUSCONI... tutto quello che il Biscione ha fatto

Da molto tempo a questa parte sento la solita frase trita e ritrita. “Belusconi non fa niente”, Berlusconi è una nullità incapace che passa le sue notti nell’arem di Arcore e le giornate a morir di sonno in parlamento. Berlusconi è un vecchio bavoso nullafacente che ha scambiato l’Italia per la sua ribalta personale e che non ha nessuna cognizione di ciò che si fa e si costruisce nel mondo politico economico globale. Se così fosse, sarei tranquillo, invece la verità è un’altra e i fatti di ieri ce lo dimostrano. Come un Guzzanti d’annata ci ricordava in u indimenticabile scenetta: “Berlusconi va preso sul serio!” Dovrebbero ricordarselo soprattutto Repubblica e la Stampa, ma pure il Corriere, che invece spesso dimostra di aver più fiuto, spesso indulge in questi teatrini da basso impero. La verità è che da anni Berlusconi sta sistematicamente mantenendo le sue promesse, quelle vere, quelle importanti, quelle fatte sui tavoli delle organizzazioni datoriali, quelle che se guardate con uno sguardo di ampio respiro danno le linee di un disegno che ha cambiato profondamente il tessuto costitutivo dello stato in cui viviamo. Inutile dirlo, nonostante la piazza e la protesta, oggi l’Italia è fatta a sua immagine e somiglianza e anche coloro che scendono in piazza per mandarlo via in realtà ripropongono il suo ideale in toto all’interno delle loro esistenza. È difficile riuscire ad argomentare in un pezzo breve questo tipo di assunto ma ci si può provare se si parte dalle misure in ordine economico degli ultimi anni. Il combinato disposto tra le leggi contro i lavoratori e l’atteggiamento degli italiani di fronte a queste è figlio di una strategia perversa che ha cambiato le nostre vite e le nostre menti. Negli ultimi anni i ministri Brunetta e Sacconi, con la supervisione attenta del capo di Arcore hanno sistematicamente smantellato qualunque tutela del lavoratore. Brunetta ha imposto per gli statali regole che sarebbero considerate vessatorie pure in Cina, ma nessuno ha detto nulla. Sacconi ha ridisegnato il wellfare del lavoro in modo da farlo somigliare a quello dell’Italia liberale del secondo ottocento. I lavoratori non hanno fatto nulla. Non si sono viste proteste di massa e non si è assistito a nessun movimento di massa per riaffermare i diritti, anzi laddove è stato possibile i lavoratori si sono messi contro i lavoratori, i privati contro i pubblici, gli stabilizzati contro i precari. Questo individualismo dove vige la regola: “Apposto io apposto tutti” non ha eguali nella storia dell’Italia degli ultimi 50 anni. Oggi girare per gli uffici pubblici significa vedere colleghi più vecchi imporre a giovani stagisti pagati 400 euro al mese i lavori più umilianti solo per il gusto di affermare la propria superiorità di status. Andare nelle aziende significa vedere gli italiani che si scagliano contro i colleghi extracomuitari perché fanno il loro stesso lavoro a meno e nessuno capisce che questa disparità l’ha voluta il padrone per dividere le maestranze. Oggi andare nei sindacati significa vedere oscuri burocrati senza coscienza giocare accordi a ribasso, tutto sulla pelle dei lavoratori, purché si finisca in fretta e si firmi tutto prima di venerdì per non rovinarmi il weekend in montagna. Il sindacato è diventato anch’esso un clone della modo di produzione berlusconiano, un servo sciocco oppure nella migliore delle ipotesi una tigre di carta. La CGIL non si salva in questo, abbiamo firmato accordi indegni, abbiamo accettato di essere parte del massacro pur di non essere messi fuori dal salotto di Confindustria, salvo accorgerci in ritardo che gente come Marchionne di Confindustria non sapeva che farsene. Se continua così il sindacato a cui sono iscritto sempre più controvoglia sembrerà agli occhi dei lavoratori una specie di CISL a scoppio ritardato: firma uguale ma 5 mesi dopo. Questo è il berlusconismo, una miscela di individualismo e repressione che impedisce di difendere i diritti. Quando ci accorgeremo di non averne più, di diritti sociali, sarà davvero troppo tardi.

domenica 16 ottobre 2011

SULLE MACERIE....riflessione sui disordini di Roma e su come uscirne

Quello che è accaduto ieri a Roma ha le caratteristiche del dramma. Era ovvio e me lo aspettavo come se lo aspettavano molti dei commentatori, l’AISI (il nostro controspionaggio) e, come ovvio, come si auspicavano il governo e i suoi lacché. Non è la prima volta che davanti a movimenti di massa potenzialmente generatori di cambiamento si presentano le falangi dei “Neri”, dei Black Block o come diavolo vogliamo chiamarli. La loro presenza è un dato strutturale e deve fare riflettere i movimenti, costringerli se possibile a organizzarsi e a ripensare se stessi per marginalizzare questa deriva. Sgombriamo il campo da un equivoco di tipo autoconsolatorio e giustificativo: non è vero che i teppisti che ieri hanno sfasciato Roma siano tutti infiltrati della polizia, sappiamo che certe infiltrazioni possono esistere (come ci insegnò Cossiga che sosteneva di averlo fatto spesso negli anni ’70), ma non è vero che la totalità di questi siano infiltrati. La geometria dell’antagonismo anarchico è complessa e varia, non si può trovare nessuna reale “galassia di riferimento” come vorrebbero ora fare i giornali della destra. Questa mattina ho sentito parlare di “pericolosi agenti della FIOM tra i violenti” e mi è venuto da ridere. La guerriglia di ieri non è stato un moto di rabbia legato a qualche tipo di esigenza sociale, è stato un atto pianificato di strategia della tensione.
Altro dato su cui riflettere: se non si trovano le contromisure all’interno del movimento questi ci impediranno di portare avanti le nostre rivendicazioni. La prossima volta che ci sarà una manifestazione verrà molta meno gente, questo è poco ma sicuro. Certo non verrà la ragazzina del liceo, né la madre di famiglia né il pensionato che non aveva mai protestato prima. Il movimento così è depotenziato e silenziato, con beneplacito dei Berluscones &C. Il fatto è che lo spontaneismo sta troppo spesso strangolando il movimento. Con la logica del niente partiti, niente sindacati, tutto dal basso e tutto spontaneo non si va lontano. Lo spontaneismo colorato va bene per i Flash Mob davanti alla sede di Banca Italia, va bene se sali su un tetto alla sapienza o in Bicocca, ma non va assolutamente bene se sfili in 300 mila in una città. Ogni gioco ha le sue regole. Una manifestazione di questo tipo ha le sue regole, solo che se sbagli qualcuno si fa male o peggio ci lascia la pelle. Una delle regole basilari della guerriglia urbana è quella di infiltrare i grossi cortei di massa con piccoli gruppi agili e organizzati, penetrarli creare disordini e fuggire prima dell’arrivo della polizia, confidando nel fatto che nel caos che ne segue la violenza cieca della polizia contro i manifestanti faccia da miccia a disordini più estesi. È successo a Genova, qui non ci sono riusciti per la reazione scomposta della folla che ha cominciato a urlare loro di tutto e a tirare in qualche caso oggetti. Il movimento deve fare i conti con della gente che non ha colore politico ma che sa fare guerriglia, ha imparato negli stadi, ha imparato nelle situazioni semiclandestine, ha imparato in certi centri sociali di estrema destra o di estremissima sinistra, ha imparato militando in certi partiti di estrema destra o di estremissima sinistra,… sono capaci di mettere a ferro e fuoco una città e non hanno paura se ci scappa il morto. Per quanto nell’era del villaggio globale non si voglia capire è necessario ripensare al modo di fare questo genere di manifestazioni e tornare all’organizzazione ferrea del sindacalismo degli anni ’70. Non stiamo vedendo nulla di nuovo, frange di questo tipo esistevano anche trent’anni fa e gli si impediva semplicemente di entrare in azione. Se ci si aspetta che lo faccia la polizia, se il movimento aspetta l’intervento salvifico di terze persone siamo apposto. Bisogna tornare ai tempi del servizio d’ordine ben visibile nei cortei, dei cordoni per isolare i violenti fatti da operai delle fabbriche ben disposti allo scontro. È l’unico modo per arginare la violenza ed evitare che si ripeta Genova. La regola aurea, lo sappiamo è questa: “una manifestazione ben riuscita porta con se l’ingrandirsi del movimento”. A queste falangi di disperati (che adesso si staranno certamente spostando verso altri lidi) non importa nulla del movimento, a questi interessa l’ingrandirsi geometrico della loro filosofia. Soprattutto a questi interessa essere visti da coloro che potrebbe essere interessato al loro stile, per esempio certa tifoseria violenta o gruppuscoli autonomi del nord est, se il movimento è permeabile e loro pensano di usarlo come vetrina non sarà più possibile fermarli.

lunedì 10 ottobre 2011

NEL CUORE DELL'IMPERO VERDE... piccolo viaggio nella VArese leghista.

Negli ultimi tempi ho avuto degli impegni molto pressanti, e non sono riuscito a seguire le pagine di cui sono “papà”. Nonostante questo sono riuscito a raccogliere un po’ di quel fantastico “materiale da marciapiede” che tanto mi piace quando parlo degli umori dell’italiano medio. Dovendo stare intere giornate a Varese per motivi di lavoro e avendo parecchi amici che vivono nella capitale insubre la notizia dei malumori (ovvi) in casa leghista la potevo seguire praticamente in diretta. Varese non è per la lega una città qualunque e qualunque non è il suo bellissimo territorio fatto di valli e laghi bellissimi. Varese è la casa del padrone, il reame inespugnabile, il bunker di Berlino. A Varese un elettore su 2 è leghista o simpatizzante da almeno vent’anni e la lega non si mette in discussione semplicemente MAI. La notizia che Attilio Fontana fosse arrivato al ballottaggio durante le scorse amministrative ci lasciò parecchio di stucco, era una cosa impensabile nella Varese di 5 o 6 anni fa, alle scorse elezioni Fontana aveva stravinto contro il candidato di tutta la sinistra (dai DS a rifondazione) oggi rischiava un ballottaggio incerto contro la sfidante. Cominciammo così a dare un’occhiata disinteressata alla cosa. Dopo qualche mese e dopo il congresso quello che abbiamo capito è che la Lega a Varese non ha nulla da invidiare alle Soap Opera americane in stile “Beautiful” o “Sentieri”. Antropologicamente quello di insubre non è un bacino elettorale: è un feudo dinastico. “Ci sono tutti quelli che stanno intorno al Bossi e lo curano, come la moglie e il figlio e quegli altri (?), poi ci sono quelli di Bobo (Maroni nda)” e poi gli altri ancora” mi spiega una signora che dice che è iscritta dal 1995 “Però non si capisce più niente” conclude. Il problema principale delle dinastie feudali, dall’impero bizantino a oggi, è che la successione non è mai indolore, Luigi XIV prima di diventare quello che è diventato ha dovuto fare fuori parecchi “frondisti” e poi rinchiudersi nella reggia di Versailles perché al Louvre lo avrebbero ammazzato di sicuro. Renzo Bossi non è Luigi XIV e non lo diventerà mai, ma nemmeno Maroni ha le caratteristiche del leader che sbaraglia i dissenzienti e vince. Anni di servilismo Berlusconiano hanno profondamente fiaccato lo spirito militante della Lega, quello che urlava che “la Lega ce l’ha duro”. “Mi ricordo tutti i raduni, quando ho cominciato io qui, era il 1986, quando c’era la Lega Lombarda che di Roma non gli fregava un cazzo perché volevamo l’autonomia della Lombardia” mi dice un signore davanti a un bar appena fuori il centro, ha rughe profonde in faccia e una felpa con la scritta Lombardia addosso: “Adesso non ci sono andato a votare, che si vanno ad ammazzare. Per la prima volta non sono neanche andato a Pontida, ci sono andati mio figlio e la sua morosa ma io no” Chiedo ragione del suo malumore e lui mi risponde dirette: “Ma che malumore, qua della Lega non è rimasto un cazzo, io Bossi lo conosco di persona, da quando si parlava come io parlo a lei adesso, questi qui lo trattano come il Papa prima di morire ma io non ho bisogno del Papa, vogliono stare a Roma a dir cagate che lo facciano, ma non vengano a rompermi i coglioni a me”. Una regola storica fondamentale dice che, negli imperi, le guerre che si aprono in periferia ai confini del sistema, sono fisiologiche e servono alla sopravvivenza del sistema stesso, mentre quelle che si aprono nel cuore dell’impero sono predittive alla sua scomparsa. Il problema semmai è un altro. La deflagrazione leghista in termini di consenso popolare a cosa potrebbe portare. Per salvare se stessa e soprattutto per vendere un po’ di fumo ai militanti duri e puri, i proclami del partito verde negli anni si sono fatti sempre più razzisti e pseudo fascistoidi, si è passati dalla difesa del territorio dalla presunta colonizzazione meridionale alla difesa dall’orda musulmana che voleva fare chiudere le nostre chiese e imporre il Burqua alla nostre donne. Si è passati dal decreto espulsioni alla militarizzazione di stampo fascista del territorio che ha permesso alla peggiore feccia nazista nordista di mettersi la divisa e sperare di poter spaccare qualche testa. Adesso mi domando tutto questo dubbio patrimonio, che è stato permeato dal frange estremiste di destra, dove va a finire? “La lega è un partito con le palle sotto” mi dice un giovane padano dalle parti di Gallarate “solo noi abbiamo il coraggio di dire le cose come stanno” e come stanno? Chiedo: “che ‘sti negri e tutti gli altri ci vogliono invadere e magari fare come con gli indiani, ci dicono, tu che sei italiano stai nelle riserve che qua adesso comandiamo noi” I negri e tutti questi altri chi? “I negri, i froci, e poi ci sono anche i comunisti di Vendola, che è un frocio e io mica voglio diventare come lui” non i sembrava il caso di chiedere cosa ne pensasse il giovanotto leghista della situazione politica o economica della zona euro e del declino del sistema produttivo italiano. Qui non si tratta di questo qui si parla di “Patria e Sangue” poco più poco meno.