lunedì 6 giugno 2011

IL SALE DELLA DEMOCRAZIA... l'Italia e i Referendum



Ci sono dei momenti che per loro stessa natura fanno da collante ad un'intera generazione.
Mio nonno mi raccontava della guerra dei partigiani, delle montagne e dei Nazisti, la liberazione la costituente.
Mia madre e mio padre degli anni che vanno dal 67 al 1978, con una data che precisa ha fatto finire tutto: la notte del 9 maggio, con i suoi due omicidi vigliacchi quello di Moro a Roma e quello di Peppino Impastato a Cinisi.
La mia generazione ha Genova, ha la lunga strada della resistenza alla berlusconizzazione di massa del paese, che per molti versi ricorda quella dei partiti clandestini sotto il fascismo.
Ecco, tra le varie date storiche di una generazione alcune sono segnate da una croce su una scheda elettorale.
Non le semplici elezioni politiche, per quello che valgono, ma i REFERENDUM.
I quesiti referendari non sono semplicemente questioni complicate su cui un gruppo di volenterosi decide di raccogliere firme e chiedere la consultazione al popolo.
Sono semplicemente l'espressione più alta della democrazia e, d'altra parte, la prova del nove dell'esistenza della stessa.
Infatti non sono mai piaciuti alla politica, il ricorso al referendum sta all'art. 75 della costituzione italiana: “È indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum”
Ecco appunto, ci voleva una legge che stabilisse per filo e per segno con quali regole si poteva fare il benedetto referendum.
In questo DC (allora al potere) e PCI (allora all'opposizione) insieme a tutti gli altri partitelli di sorta furono immediatamente d'accordo: “Non si fa la legge, non se ne accorge nessuno e il mandato costituzionale resta lettera morta”.
Alla fine era pure comprensibile, togliere ai partiti la responsabilità di decidere e metterla in capo ai cittadini era sì un gesto di democrazia ma il rischio era che poi la gente ci prendesse gusto e potesse organizzarsi al di fuori dei partiti e, si sa, in un paese dove il clientelismo vale più di qualsiasi altro dato, organizzarsi al di fuori delle elefantiache strutture dei partititi (di allora) non è certo un bene.
Così facendo si continuò a ignorare la cosa fino al 1970, quando finalmente arrivò la legge 352/70, così intitolata: “Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo”.
Perché aspettare tanto e concederla proprio allora? Perché la DC aveva perso la sua prima grande battaglia etica.
Nonostante la maggioranza parlamentare dei Cattolici, grazie all'unione tra PCI, PLI, Radicali, e partiti di sinistra il 1° dicembre 1970 era passata la legge 898/70 denominata Fortuna – Baslini (dal nome dei promotori) che aveva per titolo: “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, in Italia, il paese del papa, dell'oppressione femminile, del maschio dominante, il paese dove vige ancora il delitto d'onore, in Italia per colpa di Comunisti, Radicali e Liberali, adesso si può Divorziare.
Il vaticano è irritato terribilmente con i vertici della Democrazia Cristiana, perdere l'appoggio della Santa Sede li metterebbe in una posizione politica di svantaggio, la maggior parte della campagna elettorale DC la fanno i sacerdoti nelle parrocchie e tutto il tessuto capillare che il partito ha creato nei piccoli e piccolissimi centri è dato dalla estrema ramificazione dei movimenti religiosi (vedi l'Azione Cattolica).
Rischiare di perdere l'appoggio del Vaticano è troppo. I vertici della Democrazia Cristiana allora guidata da un giovanissimo fanfaniano di nome Arnaldo Forlani decidono che vale la pena tentare il tutto per tutto.
La legge sul divorzio è la dimostrazione che su temi importanti su cui per colpa delle resistenze della chiesa l'Italia è rimasta indietro, partiti di Sinistra e di centro non cattolico, possono coalizzarsi e questo per la DC significa semplicemente la fine.
Come fare a uscire da questo cul de sac? Il referendum fu un atto di superficialità che la DC non si perdonerà mai. Credere che la Chiesa, nelle campagne e nelle città potesse ancora vantare un primato etico fu una sottovalutazione incredibile dei tempi che correvano.
Mariano Rumor allora presidente del consiglio per la terza volta mette la firma sotto alla sua condanna a morte.
La Chiesa e la DC sperano di mandare la gente in massa contro il divorzio, sperano che le infuocate prediche dei sacerdoti, le prese di posizione dei capi dell'Azione Cattolica e delle ACLI, le grandi manovre cha arrivano fino al papa posano cancellare la legge “indegna della sacralità dell'unione sponsale” (oss. Romano 12 dicembre 1970).
Come previsto la gente a votare in massa ci va.

Il 12 maggio del '74
Vota l'87,7% degli italiani e i NO arrivano al 60%, la legge sul divorzio è salva, si apre una nuova pagina della politica italiana.
In realtà non si può nemmeno dire che la pratica referendaria sia un caposaldo della nostra coscienza politica, in Italia si è ricorsi a referendum abrogativo 15 volte ma per la metà delle volte non si è raggiunto il quorum.
Oggi il Fatto Quotidiano si fa due conti sulle proporzioni che dovrebbe avere il corpus elettorale perché il voto sia valido 25.332.487 votanti (27 volte in più degli elettori di Pisapia, Zedda, e De Magistris), in più c'è un'alta possibilità che alcune schede, quelle per intendersi che recano il quesito sul nucleare per i votanti all'estero, che per effetto dei casini del governo recano una domanda diversa potrebbero essere espunte dal computo generale, stiamo parlando di un paio di milioni di voti se consideriamo italiani all'estero e italiano momentaneamente fuori sede per motivi professionali o di studio.
Non è un'impresa semplice, ma ce la dobbiamo fare, dobbiamo difendere i nostri diritti civici, per noi e per coloro che verranno. Qui si gioca qualcosa di simile a quel voto del 1974, qui si gioca il concetto stesso che ci sono beni che devono essere pubblici per forza, perché sono un bene di tipo necessario, “L'acqua non è un sottoprodotto della CocaCola” (M.Paolini).
Qui si deve mettere una barriera all'arroganza di chi decide che da domani si fanno le centrali nucleari perché ci servono (servono a lui perché noi ne faremmo a meno), quando in tutti i paesi del mondo America compresa di centrali non se ne costruiscono più, perché costano troppo e non sono mai davvero sicure, oppure si chiudono quelle già esistenti come in Germania, perché si può evitare di fare energia dall'atomo.
Qui si gioca la partita del privilegio di pochi contro la subordinazione di molti, l'arroganza del potente di turno che nemmeno si sottopone a giudizio, il novello Marchese del Grillo che dice con baldanza agli arrestati per il suo stesso reato: “Io so' io e voi non siete un cazzo”



Non ci possiamo limitare ad andare a votare, dobbiamo andare a prendere gli amici, i parenti, i delusi, quelli del “tanto fanno sempre quello che vogliono loro”, dobbiamo bussare alle porte dei nostri condomini, casa per casa, dobbiamo andare nelle piazze (chi come me lo sta facendo vede molta attenzione e partecipazione, nessuno mi ha ancora insultato).
Dobbiamo perché ancora non è finita, non abbiamo finito di doverci contare, un risultato spettacolare se lasciato solo non serve a nulla.
E, soprattutto non dobbiamo smettere di contarci mai, perché qui sta la democrazia.

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